Non poteva succedere altrimenti, che altri migranti subsahariani venissero trovati senza vita al confine tra Tunisia e Libia, a pochi giorni dalla foto di una donna e sua figlia adolescente uccise dal caldo, la sete, le politiche di espulsione del governo tunisino e l’esternalizzazione europea delle frontiere.

Le agenzie hanno iniziato a rimbalzare la notizia nella notte tra lunedì e martedì: cinque migranti subsahariani morti al confine libico-tunisino, individuati dalla guardia di frontiera di Tripoli. Lo ha reso noto il ministero degli interni tripolino (parte del governo libico riconosciuto dall’Onu), mentre sulla propria pagina Facebook il corpo militare di frontiera pubblicava il video dei migranti trovati senza vita.

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Nel video una delle guardie si lancia in accuse a Tunisi, responsabile – dice – dell’espulsione di massa di subsahariani nel deserto, con temperature che superano i 50 gradi. Come se in Libia i rifugiati trovassero condizioni dignitose.

Di certo la questione è dirimente per entrambi i paesi, a dimostrarlo le parole scambiate dal presidente tunisino Saied e dal premier di Tripoli Dbeibah, domenica a Roma, nell’incontro organizzato dalla prima ministra Meloni per fermare le partenze verso l’Europa: i due si sono promessi a vicenda l’avvio di una serie di vertici tra ministeri degli interni per discutere di sicurezza dei confini.

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Intanto nel deserto si continua a morire. Le vittime fanno parte del gruppo di circa 700 migranti (secondo le stime di Human Rights Watch, confermate ieri dalla Mezzaluna rossa libica) trasportati dalle autorità tunisine, con la forza, al confine. Senza cibo, acqua, riparo.

Difficile dire quanti ne siano già morti, le notizie giungono col contagocce soprattutto a settimane dall’espulsione, partita a inizio luglio dopo le violenze esplose a Sfax contro i migranti, accese dalla feroce campagna nazionalista portata avanti per mesi dallo stesso Saied. Ieri il responsabile di Cartagine «festeggiava» i due anni dal golpe istituzionale con cui il 25 luglio 2021 ha licenziato il governo, chiuso il parlamento e avviato un rapido processo di «occupazione» presidenziale delle istituzioni.

Due anni lunghi, fatti di decimazione delle opposizioni a suon di arresti, riduzione drastica della libertà di stampa e – appunto – nazionalismo populista. Ma anche di scioperi, proteste e manifestazioni di solidarietà con i migranti: ieri l’ultima, centinaia di persone hanno sfidato i 45 gradi di Tunisi per protestare contro il golpe e chiedere il rilascio dei prigionieri politici.