L’esposto di Sea Watch: fu naufragio colposo
Immigrazione Testimoni e perizie sul naufragio a Lampedusa. «Il 4 settembre i governi italiano e maltese non hanno soccorso al momento giusto»
Immigrazione Testimoni e perizie sul naufragio a Lampedusa. «Il 4 settembre i governi italiano e maltese non hanno soccorso al momento giusto»
«L’ultima volta che ho parlato con lui al telefono era il 31 agosto, non ci vedevamo da 10 anni». Ibrahim Hsian, siriano, aveva salutato il padre Mohammed e tutta la famiglia per trasferirsi in Germania, in attesa di un ricongiungimento. Il 4 settembre, pochi giorni dopo quella telefonata, è stato informato dalla questura italiana che il padre era tra i primi sette corpi rinvenuti in un naufragio al largo di Lampedusa. «Il governo italiano e quello maltese devono assumersi la responsabilità per non aver soccorso al momento giusto», denuncia Hsian alla conferenza stampa tenutasi ieri a Roma, a Palazzo Grazioli. E su queste responsabilità si costruisce la denuncia depositata dalla ong Sea Watch, insieme a quattro tra sopravvissuti e parenti delle vittime del naufragio. La procura della Repubblica presso il tribunale di Agrigento dovrà indagare le condotte omissive e commissive che hanno portato alla morte di 21 persone, di cui tre minori, e rispondere alle accuse di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo.
Per Hsian non è stato semplice ottenere delle informazioni sulle procedure per riconoscere e seppellire il corpo del padre. Lunghi interrogatori sui perché del viaggio dalla Germania in Italia, rimbalzi tra prefettura, centro d’accoglienza e il comando di polizia locale, finché un traduttore che lo supportava in quei giorni di cortocircuiti lo informa di doversi recare al cimitero di Lampedusa. Alle 7 del mattino, il 20 settembre, ha potuto seppellire il genitore: «Non c’era l’Imam per la preghiera, come vuole il nostro rito, c’era solo lui e altre due bare. Per noi musulmani questa è una grande mancanza di rispetto, ho pregato da solo davanti ai tre morti». Dopo, la richiesta negata del certificato di morte.
«Al momento dell’avvistamento erano tutti vivi», sostiene Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia. Immagini e video sembrano darne conferma. L’ong tedesca aveva lanciato il primo allarme grazie al rilevamento di Seabird 2, uno degli aerei che fa monitoraggio nel Mediterraneo centrale per segnalare eventuali presenze in mare alle autorità competenti. Era il 2 settembre, alle 12:28, l’imbarcazione si trovava a 37 miglia nautiche da Lampedusa. Nel secondo avvistamento, alle 13:38, i migranti si erano avvicinati a 31 miglia da Lampedusa. Al terzo e ultimo allarme lanciato da Sea Watch, alle 14:40, l’imbarcazione è a 26 miglia dall’isola siciliana. «Non sappiamo cosa sia accaduto dopo, fino al 4 settembre», afferma Linardi.
Al momento del recupero i migranti si trovavano a 10 miglia da Lampedusa, per molti era troppo tardi. Il 5 settembre Sea Watch denuncia pubblicamente di aver avvistato, giorni prima, un’imbarcazione del tutto uguale a quella recuperata dalla guardia costiera italiana. Alcuni familiari delle persone scomparse cominciano a farsi vivi, e grazie ai loro racconti si lavora all’esposto per fare chiarezza sulle responsabilità del naufragio. Anche Ibrahim Hsian partecipa alle ricostruzioni: ha riconosciuto suo padre vivo nelle immagini scattate dal Seabird 2 e i pochi superstiti hanno riconosciuto sé stessi. Molti di loro affermano di avere avuto allucinazioni e di aver perso i sensi, nel corso della traversata in mare. Le testimonianze vengono allora corroborate con elementi tecnici: secondo la perizia oceanografica di Luca Kunz, i sopravvissuti rimangono in balia delle onde per tutta la giornata del 3 settembre, entrando in acque Sar italiane intorno alle 13:24. Dalla mappatura del percorso pare evidente che l’imbarcazione stesse procedendo verso nord, in direzione Lampedusa. E mentre passavano le ore e i giorni, le persone a bordo sono state decimate. Per Francesca Cancellaro, avvocata che ha redatto l’esposto, «questo è importante per l’obbligo del soccorso e per la prevedibilità del naufragio».
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