Secondo flop del progetto Albania: i sette già in Italia
Rimpatriota Il tribunale di Roma chiede l’intervento della Corte Ue. E i richiedenti asilo tornano liberi. Il governo: «Toghe eversive». Ma per i trasferimenti a Brindisi era già tutto pronto
Rimpatriota Il tribunale di Roma chiede l’intervento della Corte Ue. E i richiedenti asilo tornano liberi. Il governo: «Toghe eversive». Ma per i trasferimenti a Brindisi era già tutto pronto
Quando i giudici del tribunale di Roma sono entrati in aula per decidere se convalidare i trattenimenti dei sette richiedenti asilo finiti in Albania, dall’altro lato dell’Adriatico era già tutto pronto per trasferirli in Italia. Poco dopo le decisioni sono stati imbarcati verso Brindisi, come al primo round ma molto più rapidamente. Segno che il governo sapeva che sarebbero stati liberati. Un dettaglio che riflette bene il senso del teatrino anti-toghe messo in piedi anche ieri dalla maggioranza.
«UN’ALTRA SENTENZA politica non contro il governo, ma contro gli italiani e la loro sicurezza. Ci sono giudici che vanno in tribunale per portare la loro ideologia, che è la loro bandiera rossa, che è la tessera del Pd», ha detto il vicepremier Matteo Salvini in Emilia-Romagna. Il leghista è impegnato su due fronti: sostenere la candidatura di Elena Ugolini alle regionali, screditare la magistratura prima della sentenza sul caso Open Arms in cui è imputato per omissione d’atti d’ufficio e sequestro di persona. Perciò tira in ballo le «cooperative rosse» e afferma che con queste decisioni non si potrà rimpatriare nessuno. Una fake news che l’esecutivo alimenta da un mese e a cui ieri i giudici capitolini hanno dovuto rispondere nel comunicato stampa: «L’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio e/o l’espulsione della persona migrante la cui domanda di asilo sia stata respinta».
Altra bordata è partita dal forzista Maurizio Gasparri: «Toghe eversive, abbiamo perso la pazienza, serve una rifondazione della magistratura». Appena 24 ore prima il ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva invitato, in un intervento al sessantesimo compleanno di Magistratura democratica, ad «abbassare i toni». Proprio contro la presidente di Md Silvia Albano, sotto sorveglianza per le minacce di morte ricevute nei giorni scorsi, è tornato a puntare il dito Gasparri: «Ha anticipato le sentenze in un comizio». In realtà la giudice aveva semplicemente spiegato, pubblicamente, che quando entrano in vigore nuove leggi le sezioni si riuniscono e ne analizzano il rapporto con la normativa nazionale e sovranazionale.
DEL RESTO, CHE RENDERE l’elenco dei «paesi sicuri» una norma primaria non avrebbe cambiato nulla era il segreto di Pulcinella. Nelle prime detenzioni in Albania il tribunale di Roma aveva disapplicato la legge italiana per far valere il diritto europeo, ieri ha invece chiesto l’intervento della Corte di giustizia Ue. Così la decisione sulla convalida è stata sospesa e quando la misura detentiva non viene confermata dall’autorità giudiziaria entro 48 ore, dice la Costituzione, la persona va liberata. In questo caso va anche portata in Italia.
Probabilmente Gasparri non lo sa, o non gli interessa, ma i quattro quesiti rivolti ai magistrati europei erano già contenuti in un rinvio alla Corte Ue partito da Roma il 31 ottobre. È firmato da Luciana Sangiovanni, presidente della sezione specializzata in immigrazione di cui fa parte anche Albano, ed evidentemente esprime un indirizzo condiviso. Le toghe capitoline chiedono ai colleghi del Lussemburgo di chiarire se il decreto legge «paesi sicuri» varato dal governo Meloni è compatibile con le norme europee. Perché di problemi sembra averne diversi e alcuni potrebbero dipendere dalla ricerca di escamotage per aggirare la sentenza europea del 4 ottobre scorso. Per esempio l’eliminazione delle «schede paese», dove è specificata la situazione dei singoli Stati, o dei riferimenti alle fonti indipendenti richieste dalle direttive comunitarie per la valutazione di sicurezza. Altra domanda riguarda i confini del potere di verifica del giudice nazionale sui «paesi sicuri» e se tale definizione valga anche in presenza di eccezioni per categorie di persone. Il Viminale ha annunciato che si costituirà nel procedimento.
NULLA HA DETTO, invece, su cosa intende fare nel frattempo con il progetto Albania. Ieri le opposizioni sono tornate alla carica denunciando lo spreco di denaro pubblico. Davanti alla Corte dei conti pendono già due esposti. È evidente che un terzo viaggio terminerebbe nello stesso modo, almeno fino alle decisioni dei tribunali sovraordinati: il 4 dicembre la Cassazione sui ricorsi del ministero dell’Interno contro le prime non convalide, poi la Corte Ue a cui il tribunale romano ha chiesto di adottare una procedure accelerata o d’urgenza (comunque ci vorranno tra due mesi e due anni).
Sullo sfondo restano le persone sballottate da una parte all’altra del mare. Ieri mattina la dem Laura Boldrini le ha incontrate a Gjader: «Un ragazzo egiziano ha raccontato che nel suo paese era perseguitato dalla polizia. Che lì sono tanti a non sentirsi sicuri. Per lui e per un bengalese, di religione hindù, la commissione territoriale si è presa più tempo per decidere sulla richiesta d’asilo. Ma senza spiegare perché».
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