In attesa delle previsioni economiche di giugno Christine Lagarde ieri si è ancora mantenuta in equilibrio tra i falchi e le colombe della Banca Centrale Europea. Le prime tendono a rallentare quella che ieri via zoom (la presidente dell’Eurotower è positiva al Covid) ha definito la «normalizzazione» della politica monetaria avviata quattro mesi fa dal consiglio direttivo in maniera graduale, opzionale e flessibile a causa delle fiammate inflazionistiche create innanzitutto dai blocchi delle catene di approvvigionamento globali e dalle speculazioni su materie prime come petrolio o il palladio a seguito delle quarantene anti-Covid e poi dai contraccolpi dell’invasione russa dell’Ucraina sul gas e i beni alimentari primari. I secondi, i falchi, guardano il rovescio della situazione: la crisi globale che sta investendo la Bce sulla soglia di un significativo cambio di fase. Davanti a un’inflazione media europea del 7,5% i prezzi cresceranno.

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La fiammata va spenta perché non tornerà al 2% entro il 2024 come previsto dallo statuto della Bce. Andrebbero aumentati subito i tassi di interesse (25 punti base nel terzo trimestre?) come è orientata a fare la Fed americana. In caso contrario la recessione in arrivo sarà ancora più aspra. Lagarde sostiene che mettono insieme le mele con le pere. Soo due situazioni diverse e l’Europa subirà un colpo devastante dallo stop immediato del gas russo.

I due scenari si riequilibrano nell’aleatoria scienza delle probabilità e delle aspettative sul quale è fondata la politica monetaria connessa da un lato ai governi e dall’altro al capitalismo finanziario. E infatti ieri Lagarde in conferenza stampa ha delineato il problema partendo dalla più materiale questione dei salari e del loro rapporto con i prezzi. Fino a oggi sembra confermata la tesi per cui il cavallo imbizzarrito dell’inflazione non sta inseguendo l’aumento dei salari che restano bassi e poveri. Ma si teme una dinamica anni Settanta.

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Ed è qui il punto politico che ci interessa, e riguarda le richieste dei sindacati di riaprire la stagione contrattuale defiscalizzando gli aumenti, per esempio. Se l’inflazione crescesse anche per l’aumento dei salari un’eventuale reazione della Bce peggiorerebbe le cose. A questo scenario ha fatto riferimento ieri Lagarde: Più a lungo dura l’alta inflazione più probabili sono le rivendicazioni sindacali, più forte è l’incentivo ai governi a non favorire il potere d’acquisto. Una spirale, al ribasso, che aggraverebbe la crisi.