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«Sul Piano Mattei il governo italiano non ha consultato le nostre comunità»

Una protesta del movimento Don't Gas Africa alla COP27 a Sharm el-Sheikh, in Egitto (Peter Dejong/Ap)Una protesta del movimento Don't Gas Africa alla COP27 a Sharm el-Sheikh, in Egitto – Peter Dejong/Ap

Intervista Kudakwashe Manjonjo, esponente di una coalizione di organizzazioni africane: «Petrolio e gas africani finiscono in Usa e in Europa ma i danni della crisi del clima li subiamo noi»

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 7 novembre 2024

Durante uno dei vari incontri a cui sta partecipando in Europa, abbiamo incontrato a Roma Kudakwashe Manjonjo, esponente di Don’t Gas Africa, una coalizione di organizzazioni della società civile africana che ha l’obiettivo di fermare l’estrazione di gas e petrolio nel continente. Una realtà molto attiva e che lavora in stretto contatto con le altre reti globali, per esempio con quelle del Vecchio Continente, con le quali conduce la campagna contro l’oleodotto Eacop tra Uganda e Tanzania.

Una campagna che ha già dati dei buoni frutti, visto che molti istituti di credito occidentali hanno rinunciato a finanziare una delle opere con impatti più severi sull’ambiente e il clima in programma adesso al mondo.
Di recente Don’t Gas Africa è stata protagonista della protesta contro l’Africa Energy Week tenutasi in Sudafrica.

Qui in Italia il governo Meloni sbandiera ai quattro venti il Piano Mattei. Che cosa pensi di questa iniziativa?
Il Piano Mattei è stato promosso essenzialmente dal governo italiano per perpetuare l’estrazione del gas e del petrolio in Africa. Il primo problema, come sottolineato dall’Unione africana, è che non c’è stata alcuna seria consultazione con i leader e con le comunità africane. Se lo avessero fatto, si sarebbero accorti che in Africa c’è molto più impegno sullo sviluppo delle fonti rinnovabili. Il Piano Mattei, poi, favorisce società fossili come Eni, che negli ultimi decenni in Africa si è occupata solo gas e petrolio.

La presenza di giganti fossili in Africa continua quindi a essere uno dei temi su cui conducete le vostre campagne.
Sì, l’Eni non è l’unica, ci sono numerose multinazionali europei che operano nel nostro continente sia nel settore dell’estrazione che in quello delle infrastrutture collegate. Noi ci stiamo concentrando su due di quelle più attive, la già citata Eni e la francese TotalEnergies, che insieme hanno una presenza attiva in 52 paesi, praticamente l’intero continente.

Quali sono le conseguenze delle attività delle corporation occidentali?
Il petrolio e il gas africani poi finiscono negli Usa e nei paesi europei, ma gli impatti sono molto forti sulle comunità che vivono nei pressi dei punti di estrazione. Prendiamo l’esempio della Nigeria, dove Eni è molto presente. Ci sono molte fuoriuscite di petrolio e si registrano numeri anomali di cancro e di morti materne. In generale le condizioni di salute sono molto precarie. Poi c’è il problema delle entrate economiche legate all’estrazione dei combustibili fossili, che portano minimi benefici alla popolazione locale. Numerosi accordi favoriscono le multinazionali del settore, non i governi africani. Questi stessi governi accumulano debiti e forniscono garanzie per le compagnie europee, finendo per avere un ritorno economico reale solo dopo 15-20 anni.

Ci puoi fare un esempio di un Paese dove lo sfruttamento del gas sta avendo effetti negativi?
Uno dei più eclatanti è il Mozambico, ricco di gas nella provincia nord-occidentale di Cabo Delgado. Lì è presente TotalEnergies, che si è vista costretta a bloccare le sue attività, ma sta pianificando di riprenderle a breve, per il conflitto in corso tra la milizia islamica al-Shabab e l’esercito, che ha provocato 6mila morti e un milione di sfollati. Lo sfruttamento del gas ha contribuito all’instabilità e non ha portato nulla alla popolazione locale, nemmeno la corrente elettrica. No, una cosa l’ha portata: hanno costruito una strada, che però serve per la multinazionale francese.

A breve in Azerbaigian si terrà la Cop29. Ma le speranze che si trovi una soluzione per la crisi climatica non sono tante.
Da noi la crisi climatica fa decisamente sentire i suoi effetti. Sempre in Mozambico, ma in realtà in tutta l’Africa sub-sahariana, non si contano le alluvioni e i cicloni, come Idai e Kennedy che due anni fa hanno avuto effetti disastrosi sulle comunità. Varie zone di tutto il continente stanno diventando inabitabili, per questo le persone le abbandonano, divenendo migranti-climatici. Oltre il danno la beffa, come detto il gas viene esportato dall’Africa, che è il continente che sta subendo le conseguenze più serie dei cambiamenti climatici. Per questo dobbiamo volgere la nostra attenzione verso le fonti rinnovabili, noi ci battiamo per non far ricominciare attività estrattiva e per tenere il gas sotto terra.

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