Tra i temi caldi del 2022, che toccheranno peraltro in maniera anche molto differenziata paesi ricchi e paesi poveri, classi agiate e classi sfavorite, ci sono l’alto livello di inflazione e la difficile gestione del debito.

Gli ultimi dati relativi all’inflazione in Occidente, quelli del gennaio 2022, appaiono abbastanza minacciosi. Così, il tasso di crescita dei prezzi al consumo su base annua è stato nel mese del 5,1% nella UE e del 4,8% in Italia, in ambedue i casi con valori in aumento.

Così la Bce comincia ad ammettere, sia pure a denti stretti, che nel corso dell’anno i tassi di interesse potrebbero crescere, una minaccia per paesi come l’Italia o la Grecia. In Europa si collega l’aumento dei prezzi soprattutto al caro energia, ma c’è qualche altro fattore che può spaventare almeno altrettanto: parliamo della crescita fortissima dei prezzi dei prodotti agricoli. Le recenti analisi della Fao mostrano che, se tra il 2015 e il 2020 i prezzi del cibo erano rimasti stabili, nel 2021 sono aumentati in media del 28%. La spinta ha riguardato olii vegetali, cereali, caffè, zucchero, carne e prodotti caseari, patate.

Questo considerevole aumento appare in relazione alla ripartenza della domanda globale a fronte della carenza di offerta, dovuta a sua volta a diversi fattori; oltre all’aumento nei prezzi dell’energia, hanno giocato un ruolo i cambiamenti climatici, che nel 2021 hanno portato tra l’altro ad eventi metereologici estremi, in particolare in alcuni dei grandi paesi produttori agricoli, dal Brasile all’Argentina agli Stati Uniti. Inoltre la ricostituzione delle scorte, dopo la peste suina africana e il covid, che ha avuto come conseguenza un vero shock nel sistema alimentare mondiale, ancora i recenti problemi logistici e di trasporto via mare, i conflitti in alcuni paesi ed infine, ovviamente, lo scatenarsi della speculazione internazionale.

Un discorso particolare va fatto per alcune produzioni. Nel 2021 quelle di grano, di soia e di mais hanno segnato un livello record, ma in questo caso l’elefante nella stanza è stato la Cina, che ha importato quantità molto elevate delle stesse.

L’inflazione nel settore alimentare colpisce in particolare i paesi più dipendenti, appesantendo la fattura delle loro importazioni (la Fao ci ricorda che nel 2021 quelle di prodotti alimentari nel mondo hanno raggiunto il massimo assoluto) e per di più in un periodo in cui in tali paesi si registra un significativo declino dei salari. Bisogna ricordare che il peso del cibo nei bilanci familiari dei paesi poveri appare molto elevato, grosso modo intorno al 50-60% dei loro redditi ed anche più, contro ad esempio solo intorno al 14% negli Stati Uniti.

Il problema tocca soprattutto alcune aree dell’Africa e dell’America Latina, mentre l’Asia è stata nella sostanza risparmiata in relazione all’abbondanza dei raccolti di riso nell’anno.Vogliamo peraltro sottolineare come i problemi del cibo non riguardino solo i paesi più deboli. Così, ad esempio, un articolo del Guardian del 22 gennaio ci ricorda che in Gran Bretagna, a fronte di una crescita nei livelli della povertà, i cibi a più buon mercato sono presi d’assalto e stanno sparendo dagli scaffali, a favore di quelli a prezzo più elevato, mentre i negozi perdono clienti a favore delle istituzioni caritatevoli, delle banche del cibo e della fame.

Ma non c’è soltanto la questione del cibo a far perdere il sonno ai paesi più deboli. Un articolo del Financial Times del 3 febbraio, partendo dall’ennesimo accordo tra il Fondo Monetario e l’Argentina per la ristrutturazione del debito del paese, rileva come sia ormai evidente la grande sofferenza economica ed umana che la pandemia ha inflitto ai paesi poveri, nell’indifferenza del mondo occidentale. Si sta per assistere tra di essi, secondo il presidente della Banca Mondiale, David Malpass, ad un gran numero di default disordinati, mentre comunque il 60% di quelli a basso reddito hanno qualche difficoltà con il loro debito, insieme anche ad un certo numero di paesi a reddito medio.

Mentre in passato i paesi occidentali organizzavano la ristrutturazione del debito di tali paesi nella cornice del “Club di Parigi” da loro creato, il sistema non funziona più. Infatti, oggi il ruolo della Cina nella concessione di prestiti a tali paesi è ormai preponderante e ad essa dovrebbe essere riconosciuto un posto di rilievo nel Club.

Due conclusioni. Intanto i paesi più deboli si trovano di fronte ad una tempesta quasi perfetta, con alti costi per il cibo, grandi difficoltà a ripagare i debiti, redditi medi in calo; d’altro canto, nelle due vicende descritte abbiamo ritrovato in primo piano la Cina, senza il cui fondamentale contributo, che piaccia o no, non appare più possibile risolvere quelli citati, ma anche, più in generale, nessuno dei grandi problemi del mondo.