Il Tap perverso dell’Europa: una parte del gas azero arriverebbe dalla Russia
Energia Più di 3500 km dall'Azerbaijan fino alla Puglia attraverso Grecia e Albania. La denuncia del dissidente Gubad Ibadoghlu, stimato accademico agli arresti. Testimonianza della figlia di recente in Italia
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Dopo Egitto ed Emirati Arabi Uniti, l’annuale appuntamento per provare a salvare il Pianeta dalla crisi climatica sarà ospitato da un altro Paese grande esportatore di gas e petrolio: l’Azerbaigian. Il presidente della COP29 di Baku, Mukhtar Babayev, è sì il ministro dell’Ambiente e delle Risorse naturali, ma per oltre 20 anni è stato un alto dirigente della Socar. Ovvero la spina dorsale dell’economia dell’Azerbaigian, il caposaldo del settore estrattivo.
Le ambizioni di Socar si fondano anche su forti sinergie con alcune delle più grandi compagnie di combustibili fossili del mondo. Queste collaborazioni comprendono iniziative di lunga data e nuovi progetti di estrazione con la britannica BP, la francese TotalEnergies e la Adnoc degli Emirati Arabi Uniti, al momento gli accordi che l’italiana Eni sono soprattutto nel settore dei biofuel nel Nagorno-Karabakh. Insomma, l’Azerbaigian e il suo “braccio armato” Socar sono uno degli alleati più fedeli del Vecchio Continente, quando si parla di approvvigionamento energetico.
LA “LUNA DI MIELE” TRA I GOVERNI EUROPEI e l’esecutivo di Baku è iniziata appena dopo l’indipendenza del Paese dall’Unione Sovietica, nel 1994. L’anno del Contratto del Secolo, stipulato tra 11 multinazionali petrolifere, capeggiate dalla britannica BP, e il governo locale per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di Azeri, Chirag e Gunashli (ACG), per un totale di oltre sette miliardi di barili di oro nero. Un affare colossale, che ha segnato l’inizio di una stretta collaborazione tra la stessa BP e la famiglia Aliyev. Nonché l’entrata di numerose aziende europee nel Paese, inclusa l’italiana Saipem, che è tra i sub-contractor della prima ora per la realizzazione delle piattaforme petrolifere. Il Contratto del Secolo ha avuto il suo culmine nella realizzazione dell’oleodotto BTC (Eni è azionista di minoranza della società che gestisce l’infrastruttura), che partendo da Baku e passando per Tbilisi (Georgia) porta il suo carico di greggio al porto turco di Ceyhan lungo un tragitto di 1768 chilometri. L’opera è stata inaugurata nel 2005, nonostante una forte campagna internazionale che denunciava, oltre agli impatti ambientali soprattutto in Georgia e ai consistenti problemi legati alla sicurezza, le tante violazioni dei diritti umani in atto.
NEL 2023, SOCAR HA PRODOTTO quasi 174 milioni di barili di petrolio equivalente (mmboe), quasi il doppio della produzione di BP, il suo partner più vicino nella regione. Il dominio della società statale azera è rafforzato dalle sue vaste operazioni nei giacimenti offshore e onshore e dalla sua comproprietà di infrastrutture strategiche, tra cui gli oleodotti e gasdotti che trasportano le risorse dell’Azerbaigian verso i mercati europei.
L’importantissimo e costosissimo (oltre 40 miliardi di dollari) Corridoio Sud del Gas inizia nei pressi di Baku, è lungo oltre 3.500 chilometri e ha una portata di 10 miliardi di metri cubici l’anno, che i governi europei e Baku vorrebbero espandere a 20. Il suo segmento finale è composto da un gasdotto che il pubblico italiano ha imparato a conoscere molto bene. Ci riferiamo al “famigerato” Tap, inaugurato nel 2020 e per anni oggetto di forti contestazioni da parte delle comunità salentine, che si sono opposte, senza successo, alla sua costruzione. Il Tap, infatti, passa per Grecia e Albania per poi immergersi nell’Adriatico e approdare sulle spiagge di Melendugno.
Tra i membri dell’omonimo consorzio costruttore, registrato in Svizzera, c’è anche la nostrana Snam. Proprio le società e i vertici del consorzio sono a processo a Lecce per disastro ambientale, contaminazione della falda acquifera con metalli pesanti anche cancerogeni ed espianto degli ulivi fuori dal periodo autorizzato. Per la verità il procedimento è punteggiato da una serie infinita di rinvii e non è da escludere che si concluda in un nulla di fatto a causa dell’incombente prescrizione.
TORNANDO ALL’AZERBAIGIAN, anche grazie a infrastrutture strategiche come il Tap il Paese intende far arrivare in Europa una quantità sempre maggiore di gas. La sua produzione annuale di gas, infatti, è destinata ad aumentare dagli attuali 37 miliardi di metri cubi (bcm) a 49 bcm entro il 2033. Piani resi possibili anche grazie ad accordi raggiunti con realtà europee (da Eni a BP a Total) che porterebbero ad un aumento delle forniture di gas all’Europa di circa il 17% entro il 2026, nonché dai finanziamenti di diverse fra le principali banche europee.
RISPETTO A QUESTE DINAMICHE, già prima della guerra in Ucraina numerosi addetti ai lavori dubitavano che le riserve azere fossero così ricche da permettere un tale aumento della produzione, ventilando l’ipotesi che insieme al gas di Baku potesse arrivare in Europa quello russo. Tra queste voci fuori dal coro c’è Gubad Ibadoghlu, uno stimato accademico della London School of Economics e un attivista anti-corruzione. Le sue ricerche si sono concentrate in particolare sul settore dei combustibili fossili, facendolo però diventare uno degli oppositori più invisi al governo, come ci ha raccontato sua figlia Zhala Bayramova, avvocata dei diritti umani, che abbiamo incontrato a Roma.
“MIO PADRE È STATO ARRESTATO nel luglio del 2023, quando si era recato in Azerbaigian per visitare mia nonna, molto malata. La sua auto è stata tamponata da una macchina della polizia, causando dei danni permanenti a mia madre, che era con lui. I nove mesi in prigione sono stati durissimi, con un accesso molto limitato al cibo e all’acqua e nessuna cura e medicinali, nonostante mio padre fosse reduce da un intervento al cuore. Ora si trova agli arresti domiciliari, ma avrebbe bisogno di un’altra operazione”, ci spiega Bayramova, rivelando la vera ragione della sua detenzione: “gli studi sugli enormi impatti ambientali del settore estrattivo, sul riciclaggio di denaro a esso legato e su come parte del gas che l’Azerbaigian esporta in Europa arrivi in realtà dalla Russia”. Per aggirare le sanzioni, anche una quantità del valore di oltre un miliardo di dollari di petrolio russo sarebbe stata raffinata in Turchia tramite una società controllata dal governo azero, come riporta un recente rapporto della rete dell’Est Europa CEE Bankwatch e della Ong tedesca Urgewald.
TUTTE VERITÀ SCOMODE, che nemmeno i fedeli partner europei vogliono sentire e che di sicuro non sveleranno durante l’ennesima Cop che ormai è solo un salotto buono per incontrare le lobby del fossile e ospitata da una petrocrazia.
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