Dal fronte ai cieli la guerra in Ucraina diventa sempre più uno scontro aperto e imprevedibile. Droni americani abbattuti, droni cinesi ritrovati per l’imbarazzo del costruttore, caccia dell’aeronautica polacca pronti a essere ceduti a Kiev e armi israeliane in arrivo.

IN GIORNATE come quella di ieri, in cui la battaglia di Bakhmut non occupa tutte le pagine esteri dei media internazionali e le trattative per la demilitarizzazione della centrale atomica di Energodar non portano a nulla, sembra quasi che la guerra si prenda una pausa.

Purtroppo non è così, sui fronti aperti si muore ogni giorno e a Bakhmut la situazione peggiora sempre di più. Ieri lo stato maggiore di Kiev ha anche paventato il rischio, molto plausibile, che l’esercito russo tenti una nuova offensiva a Vuhledar, data per conquistata dai russi un mese fa e poi miseramente abbandonata dopo neanche 72 ore.

L’importanza della cittadina non è soltanto strategica (si trova a metà strada tra Mariupol e Bakhmut), ma rima con la sfida intestina tra l’esercito regolare di Mosca e i mercenari della Wagner.

La rivalità tra Evgeny Prigozhin e il ministro Shoigu è ormai conclamata e il primo ultimamente non ha perso occasione per insinuare dubbi sull’impreparazione dell’esercito e, di rimando, sulla vitale necessità che l’«operazione militare speciale» ha dei suoi uomini.

INTANTO IL TEMPO passa e nuovi incidenti accelerano il corso degli eventi. La mossa comunicativa del comando dell’aeronautica Usa in Europa – mostrare il video registrato dal suo drone spia prima di essere abbattuto – ha sortito gli effetti sperati. Nel video si vede chiaramente il Sukoi russo che scarica il carburante sull’Mq9 statunitense, poi un forte impatto fa saltare il collegamento radio che si riattiva su un velivolo danneggiato con l’elica del rotore compromessa.

Dunque: «La nostra ricostruzione era quella veritiera», possono dire gli Usa. Non solo: oltre a screditare le parole della controparte, la Casa bianca sta insolitamente insistendo sull’impreparazione dei piloti russi.

E nel giro di poche ore sui canali social si sono diffuse le più disparate discussioni sull’effettiva professionalità degli aviatori di Mosca. Il che di per sé non serve a stabilire nulla, se non a corroborare la tesi Usa e a screditare la «potenza» dei russi. Riducendo i fatti a una mera questione di causa ed effetto: da essere i cattivi che avevano costretto allo schianto un drone della principale potenza militare della Terra, i russi sono diventati i bugiardi detentori di un’aeronautica un po’ goffa.

Miracolo della comunicazione, che non ha nulla a che vedere con il giornalismo, ma tant’è; su questo piano gli Stati uniti sono generalmente imbattibili (anche perché gli alleati tendono a chiudere un occhio sulle questioni più spinose, almeno di solito). Di conseguenza, l’onore Usa nei cieli è parzialmente ristabilito e l’escalation si allontana.

SE NON FOSSE che, sempre ieri, il presidente polacco Andrzej Duda ha annunciato che il suo Paese consegnerà all’Ucraina quattro caccia Mig-29 nei prossimi giorni. È il primo Paese Nato a prendere questa decisione così controversa. Finora i membri principali dell’Alleanza si erano opposti all’invio degli F-16 richiesti da Kiev.

Varsavia ha rotto gli indugi. Potrebbe essere la decisione apripista che convince gli stati indecisi o restare un caso isolato, presto per dirlo. Nel pomeriggio, l’aeronautica di Kiev ha pubblicato un video di un suo pilota che opera su un Mig-29, a riprova che gli addestramenti erano già in atto chissà da quanto.

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Intanto la Cnn ha diffuso l’inattesa notizia dell’abbattimento nell’oblast di Donetsk di un drone Mugin-5 di fabbricazione cinese, modernizzato e armato. Secondo un esperto citato dalla rete Usa, la bomba è stata probabilmente realizzata con componenti stampati in 3D. La Mugin Limited, con sede nella città cinese di Xiamen, ha confermato alla Cnn che si trattava del suo drone, definendo l’incidente «profondamente spiacevole». In serata, poi, il Times of Israel ha confermato che il governo di Tel Aviv ha autorizzato la vendita di armamenti a Kiev, forse – dicono alcuni analisti – per testarne l’efficacia contro i droni iraniani.