Albania. Diritti (lgbtq) cercasi
In lotta L’omosessualità è stata depenalizzata nel 1995. Ma quasi trent’anni dopo, la gioventù albanese lgbtq ancora fugge dalle discriminazioni. La battaglia culturale di chi fugge e di chi resta
In lotta L’omosessualità è stata depenalizzata nel 1995. Ma quasi trent’anni dopo, la gioventù albanese lgbtq ancora fugge dalle discriminazioni. La battaglia culturale di chi fugge e di chi resta
Fino al 1995, essere omosessuali in Albania significava rischiare fino a sette anni di carcere. Alla fine della guerra fredda, nel 1991, il paese ereditava le leggi di stampo natalista varate durante il regime di Enver Hoxha: per decenni, l’obiettivo delle autorità era stato l’aumento della popolazione a qualsiasi costo. Nel quadro di queste politiche incentrate sulla famiglia tradizionale e sul matrimonio erano stati resi irreperibili o illegali anche contraccettivi e aborto, facilmente accessibili in altri paesi socialisti, come Germania dell’Est e Unione Sovietica.
In questo clima di repressione sessuale prende le mosse, a metà degli anni novanta, il movimento Lgbtq albanese. «Le prime organizzazioni sono nate intorno al 1993 e hanno ottenuto la depenalizzazione dell’omosessualità», racconta l’attivista Xheni Karaj, che nel 2009 ha fondato Aleanca Lgbt, una delle più influenti associazioni per la difesa dei diritti delle persone queer, vincitrice nel 2022 del Civil Rights Defender of the Year Award: «Non era un risultato scontato: il clima culturale non era cambiato con la fine del regime. Anche soltanto nominare l’esistenza dell’omosessualità era un tabù. La comunità era isolata e spaventata».
LA DECRIMINALIZZAZIONE del 1995 infatti non mette fine al clima oppressivo nel Paese. Diversi leader del movimento vengono minacciati e costretti a richiedere asilo politico all’estero. L’associazione Gish per i diritti delle persone Lgbtqi+, fondata nel 2000, si scioglie dopo pochi anni per lo stesso motivo. Durante una puntata del talk show “Opinion”, nel 2012, il parlamentare di destra Murat Basha afferma che, se avesse un figlio omosessuale, risolverebbe il problema sparandogli un colpo in testa. In quella stessa puntata, Xheni Karaj prende la parola dal pubblico e fa coming out in diretta televisiva, diventando la prima donna a dichiararsi pubblicamente lesbica nella storia albanese.
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Russia, le persone Lgbt+ rischiano 10 anni di carcereQualcosa stava cambiando in quello che, secondo un report dell’Osfa del 2013, era il paese più omofobo d’Europa. Tra la fine degli anni zero e l’inizio degli anni dieci del duemila si fa largo una nuova generazione di attivisti.
Tra loro, oltre alla già citata Xheni Karaj, c’è Arbër Kodra, che ha collaborato a lungo con Aleanca Lgbt e che ha fondato nel 2013 la sua associazione, Open Mind Spectrum Albania, nata per sostenere le persone queer nel loro ambiente familiare. Arbër è anche direttore della Tirana Queer Film Marathon, il primo festival di cinema queer in Albania, giunto alla sua quarta edizione. «Abbiamo iniziato a fine 2009, eravamo sette persone. Non conoscevo nessuno», ricorda Arbër, «Dopo la mezzanotte del primo di dicembre, giornata mondiale della lotta contro l’Aids, abbiamo stampato dei poster per sensibilizzare la popolazione e li abbiamo affissi per la città. Poi abbiamo detto: sediamoci in un caffè. Quel caffè è durato sei ore: eravamo emozionati. Molti di noi non avevano mai incontrato un’altra persona queer».
ANCHE XHENI RICORDA l’isolamento e la solitudine: «L’unico modo per parlare con altre persone lgbtqi+ erano i gruppi Facebook, su cui si scriveva con profili falsi per proteggere la propria identità. L’azione di attacchinaggio ha segnato l’inizio della nostra militanza. I poster dicevano: “L’omofobia è una malattia della società”. Li abbiamo affissi in piena notte. Di giorno sarebbe stato troppo pericoloso».
Da allora, in Albania come nel resto del continente, sono stati fatti importanti passi in avanti: nel 2010, è stata approvata all’unanimità una legge contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, e con la modifica del 2013 l’omofobia è stata equiparata ai crimini d’odio su base etnica, razziale e religiosa. Nel 2014, la capitale Tirana ha avuto il suo primo Pride. Nel 2021, il Ministero per la Salute e la Protezione Sociale ha presentato il suo Piano Nazionale per le Persone Lgbti (2021-2027), un documento progressista, nato dopo una lunga fase di dialogo con le associazioni.
In molti, però, hanno l’impressione che dietro queste misure ci sia il desiderio di velocizzare il processo di entrata nell’Unione Europea: l’Albania ha presentato la domanda di ammissione nel 2009, e le leggi contro la discriminazione sono un passaggio necessario per adeguarsi alle normative comunitarie. Commenta Arbër Kodra: «Nel Piano ci sono tantissime misure importanti, ma la volontà politica di attuarle è poca. La politica postpone, postpone tutto il tempo».
Anche per Xheni Karaj le criticità da superare sono molte. Nel 2023, il Codice di Leggi sulla Famiglia proibisce ancora il matrimonio tra persone dello stesso sesso e impedisce il riconoscimento dei figli di queste coppie: «Tre anni fa una coppia lesbica ha dato alla luce due gemelli e non hanno potuto registrare i bambini. Per lo stato Albanese quei bambini non esistono».
IN PIÙ, CHI È TRANS non può cambiare legalmente il suo genere e non ha accesso a cure ormonali: «Sono costrette a comprare ormoni sul mercato nero, ed è pericoloso: non ricevono le pillole giuste, il dosaggio giusto, e questo comporta grossi rischi per la salute. Non è un caso che molte persone queer scappano da qui».
Sono decine le persone che dall’Albania ottengono lo status di rifugiato per le discriminazioni subite nel loro paese . Karaj lo definisce «un vero e proprio esodo», da inserire nel contesto di un Paese che, negli ultimi trent’anni, ha perso mezzo milione di abitanti, un quinto della popolazione totale del 1993. Gli stipendi sono bassi (poco più di duecento euro al mese nel 2020), il tasso di disoccupazione è sopra al 10% (più alta che in Italia, dove è intorno al 7% nel 2023) e le opportunità di inserimento lavorativo sono ancora più scarse per le persone queer.
UN SONDAGGIO INTERNO condotto da Aleanca ha rilevato che due terzi delle 237 persone intervistate non riuscivano a trovare lavoro, o non lo cercavano, perché vittime di discriminazione, riduzione della retribuzione o licenziamenti ingiustificati.
«Non è facile rimanere quando vedi che tutti se ne vanno», ammette Xheni, «Ma se ci arrendiamo e ce ne andiamo, a chi lasciamo l’Albania?». Arbër evidenzia come l’emigrazione delle persone queer sia la spia di un problema culturale profondo: «Non basta promulgare le leggi, se poi non le si applica. Come mai, con una legislazione estesa che tutela i diritti, così tante persone lgbt sono ancora costrette a chiedere asilo in altri paesi europei?».
Isuf Kovaci, in arte King Kovaci, è un artista performativo e musicista albanese cresciuto in Belgio. Qui ha dovuto confrontarsi con razzismo e islamofobia, esperienze comuni di molti albanesi all’estero, e allo stesso tempo ha dovuto sopportare discriminazione e omofobia nella sua comunità d’origine.
SU QUESTO DUPLICE sentimento di inadeguatezza insiste Kovaci: «Sono nato e cresciuto in Belgio da due genitori albanesi. Sono cresciuto sentendomi a casa, ma mai del tutto perché non ero belga. E poi, quando tornavo in Albania, mi sentivo dire spesso: ‘Se sei gay non puoi essere albanese’. Lo so, è folle, ma per molti sono due cose incompatibili».
Parti della società albanese, soprattutto quelle più religiose (tanto cristiane come musulmane), ritengono che l’essere queer sia incompatibile con lo stile di vita e le tradizioni del Paese. «Pensano sia una moda occidentale» dice Xheni Karaj: «Ogni volta che mi capita di andare in tv, cerco di smantellare questo stereotipo. Diciamo: siamo i vostri figli, siamo i vostri nipoti, i vostri colleghi. Facciamo parte di questa società».
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Il Mit rischia il crac«Giuro che non l’avevo programmato», dice King Kovaci: «Indosso la maglietta di una Ong che si chiama Dylberizm e dice “Edhe dylber, edhe sqiptar”. Significa sia albanese che gay”. “Dylber” è un insulto omofobo di cui però la comunità queer albanese si sta riappropriando con orgoglio».
RACCONTA KOVACI: «Ho fatto coming out con mia madre a 13 anni. Quando lei mi ha accettato, ho capito finalmente che le mie radici albanesi erano compatibili con la mia sessualità». “Propaganda”, l’evento notturno per la comunità queer di Bruxelles che King Kovaci ha fondato e organizza, va nella stessa direzione: «È uno spazio di rivendicazione per identità queer provenienti da culture tradizionalmente machiste, dai Balcani, dal Caucaso, dall’Europa meridionale. Non è solo uno show» racconta ancora l’artista.
«Un giorno ero in drag (ndr, in vistosi abiti femminili) durante lo spettacolo. Di solito non faccio drag, ma quel giorno l’ho fatto. Ho cantato Levitating di Dua Lipa e alla fine ho sventolato e indossato la bandiera albanese. Quando ho finito lo spettacolo ero stanco, volevo solo togliermi la parrucca, togliermi il trucco. Una donna si è piazzata davanti a me con le lacrime agli occhi e ha detto, in albanese: ‘Non avrei mai pensato di vedere una drag queen albanese in vita mia’. Ho pensato: sì, tesoro, è esattamente il motivo per cui lo sto facendo».
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