Belgrado, la bellezza del teatro (non) salverà il mondo
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Belgrado, la bellezza del teatro (non) salverà il mondo

Festival Il Bitef, grande festival di teatro, disegnato da Nikita Milivojevic, Tijana Grumic e Ksenija Durovic si conferma antenna, tra le più sensibili, che accompagna i desideri e i sogni di cambiamento degli artisti e dei cittadini serbi
Pubblicato 2 giorni faEdizione del 26 ottobre 2024

«Kossovo è Serbia» oppure «L’unico genocidio nei Balcani è stato contro i Serbi»: sono questi i messaggi a caratteri cubitali che rimbalzano dalla periferia sino al centro di Belgrado e ci ricordano le fratture e le ferite che le guerre balcaniche degli anni Novanta hanno procurato alle coscienze e ai corpi dei Serbi. E si avvertono ancora le scosse delle proteste di migliaia e migliaia di cittadini e attivisti ambientali che la scorsa estate hanno riempito piazze e strade per manifestare contro l’apertura della miniera di Jadar e poi le proteste degli insegnanti che non accettano i miseri aumenti salariali decisi dal governo.

A Belgrado ci sono domande e urgenze che investono il rapporto tra il potere e la società e ci sono conflitti che stanno ridefinendo l’immaginario collettivo. L’edizione 2024 del Bitef, il festival di teatro più prestigioso e più intrigante dell’area balcanica e del Sud Est Europa, disegnato da Nikita Milivojevic, Tijana Grumic e Ksenija Durovic si conferma come l’antenna, tra le più sensibili, che accompagna i desideri e i sogni di cambiamento degli artisti e dei cittadini in un passaggio della storia mai così delicata e perturbante.

Con il motto dostoevskiano declinato al negativo, «La bellezza (non) salverà il mondo», i curatori invitano a riflettere sulle tante paure e inquietudini, violenze e ingiustizie sociali di cui sono prede le società contemporanee. Invitano a riflettere sulla possibilità che qualcosa di sublime e nobile come la bellezza e l’arte possano veramente salvarci in un mondo così fatto. Nel potere di cambiamento del teatro ci crede molto e da tempo il regista svizzero Milo Rau, attuale direttore artistico delle «Wiener Festwochen», autore del noto manifesto di Gent, nel quale ha enunciato i dieci comandamenti del nuovo teatro contemporaneo. Il più importante tra i dieci dice che l’obiettivo non è quello di rappresentare il reale, ma di rendere reale la rappresentazione stessa. Contro il teatro-rappresentazione avevano già affilato le armi le avanguardie teatrali del Novecento da Brook a Grotowski, da Barba a Julian Beck a Carmelo Bene ma Milo Rau porta in scena la vita reale e l’autorialità di comunità marginali e periferiche, contagiando con le loro azioni, con i loro corpi e pensieri, con il loro immaginario il processo di creazione e produzione degli spettacoli, eliminando le distanze tra professionismo e non professionismo.

Al centro del suo spettacolo Antigone in Amazzonia cui il pubblico del Bitef ha rivolto gli applausi più lunghi, c’è il massacro poliziesco del movimento di resistenza senza terra, il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra, che si batte contro il colonialismo e la distruzione dell’ambiente. Il massacro è ricostruito sulla scena attraverso filmati e attraverso i ricordi, i canti corali e le testimonianze dei sopravvissuti, come pure attraverso il testo di Sofocle e i testi creati dagli attori e attrici. È il risultato del lungo lavoro di inchiesta e di ricerca sul campo a stretto contatto con i cittadini e con le comunità locali che diventa linguaggio e visione politica del cosiddetto «teatro documentario» di cui Milo Rau è pioniere. Lo spettacolo ha ricevuto il Premio del quotidiano Politika, assegnato dalla giuria composta quest’anno dai registi Andras Urban e Nebojsa Bradic, dalla redattrice della sezione culturale di Politika Gordana Popovic, dalla critica teatrale Ana Tasic e dalla giornalista Borka Golubovic Trebjesanin.

Ha invece ricevuto il Grand Prix Mira Trailovic lo spettacolo-manifesto This is my truth, tell me yours della attrice e drammaturga croata Jasna Zmak che dissemina domande sul patriarcato scavando sin dentro i meccanismi perversi delle pratiche performative contemporanee e rivelando tutto il marcio etico che le muove, tra sessismo e misoginia, ipocrisia, ricatti e violenza sessuale. Jasna ha paura di andare in scena e mostra agli spettatori gli stratagemmi tutti molto infantili per nascondere la paura, mettersi gli occhiali, camminare all’indietro, coprirsi il volto con una coperta, illuminare il pubblico anziché l’attrice. Il gioco è divertente finchè non si becca l’acufene a causa di un colpo di pistola, la pistola di Cechov, sparato durante la rappresentazione dello spettacolo Mandicstroj diretto da Bojan Jablanovac e interpretato dall’attore Marko Mandic.

La performance di Jasna vira sul drammatico e il flusso vorticoso di parole diventa flusso di emozioni, il gioco lascia spazio al pensiero lucido e concreto, la finzione alla verità, l’irreale al reale, il personaggio alla persona. Jasna resiste e rinuncia all’idea di portare in scena Marko Mandic, vuole tenere lontani paradigmi e stereotipi della recitazione e della finzione e denunciare con grande coraggio quell’assenza di libertà che non c’è solo fuori, nella società, ma dentro i luoghi e le pratiche del fare teatro.

Parte dalla premessa che il diritto al piacere delle donne rientra tra i diritti umani fondamentali la giovane regista e filosofa slovena Tjasa Crnigoj che insieme alle autrici Sendi Bakotic, Vanda Velagic, Tijana Todorovic, Lene Lekse ha presentato Sex Education II: Fight, performance che fa parte di una serie in cinque parti, alla quale è stato assegnato sia il premio Jovan Cirilov che il premio per il miglior gradimento del pubblico. Indaga il tema del diritto all’aborto, conquistato già nella vecchia Jugoslavia e che nei Paesi balcanici come nel resto della Europa rischia di essere cancellato. «Abbiamo bisogno di spettacoli come questo perché l’educazione sessuale nella nostra società è praticamente inesistente», ha dichiarato la giuria del festival.

In un palinsesto che si fregiava della presenza prestigiosa della Comédie Française e di Tiago Rodriguez direttore del festival di Avignone con lo spettacolo Ecuba, non Ecuba, tante le performance sul tema della crisi climatica come Future della regista slovena Ziga Divjak ma anche sul tema della violenza sessuale come Rupture di Jan Krmelj o sulla condizione dei detenuti nel carcere di Palmasola a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia.

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