«Sarò per sempre grata al personale medico dell’ospedale Careggi perché ha salvato mia figlia», dice Cinzia M. (i cognomi delle madri sono appuntati per tutelare la privacy delle figlie). Ha due gemelli e una certezza: se non avesse portato Greta nella struttura sanitaria fiorentina adesso lei non ci sarebbe più. Confessioni strappate o nascoste tra le pagine di un diario le danno questa convinzione. Perciò vuole prendere parola per difendere uno dei pochissimi punti di riferimento in Italia per le e gli adolescenti trans, oltre che per le loro famiglie. E non è la sola.

Il mese scorso, infatti, il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri ha depositato un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro della Salute Orazio Schillaci. Il parlamentare chiede verifiche sull’uso della triptorelina per gli adolescenti che secondo la definizione medica sono «affetti da disforia di genere». Cioè hanno un’identità di genere diversa dal sesso biologico assegnato alla nascita.

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IL FARMACO VIENE USATO, da molto tempo, per adolescenti che soffrono di pubertà precoce, uomini affetti da tumore alla prostata e donne che hanno il cancro al seno. Il 13 luglio 2018 il comitato nazionale di bioetica ha risposto a un quesito dell’Agenzia italiana del farmaco sul suo utilizzo off label anche per gli adolescenti transgender, al fine di sospendere (reversibilmente) lo sviluppo puberale in attesa di un eventuale percorso di transizione di genere. Il comitato ha dato il via libera a patto che siano rispettati cinque paletti. Riguardano la corretta informazione, il consenso dei genitori, le tempistiche di somministrazione.

Le due condizioni più importanti stabiliscono che questo tipo di uso della triptorelina è etico: se i ragazzi presentano una profonda sofferenza e il rischio di comportamenti autolesionistici e/o tentativi di suicidio perché il corpo si sviluppa nella direzione non desiderata; se avviene con il monitoraggio di un’équipe multidisciplinare e specialistica, composta da neuropsichiatra di infanzia e adolescenza, endocrinologo pediatrico, psicologo dell’età evolutiva e bioeticista. Gasparri sostiene di aver ricevuto notizie secondo cui al Careggi «non viene fornita assistenza psicoterapeutica e psichiatrica e che nello stesso ospedale il reparto di neuropsichiatria infantile non esiste proprio».

SUOI COLLEGHI DI PARTITO, prima di Natale, hanno spinto per l’invio di ispettori. Dall’ospedale per ora preferiscono non rispondere: c’è una richiesta formale di relazione dal ministero con accuse molto gravi, tutte le informazioni saranno fornite solo per vie formali.

Intanto la polemica è montata, sostenuta anche dalle solite associazioni «Pro Vita». In televisione il senatore forzista ha azzardato: c’è un nuovo governo, il comitato bioetico ha una diversa composizione, è lecito riaprire la riflessione sull’uso della triptorelina. Del resto nell’interrogazione parlamentare, tra le righe delle questioni mediche, emerge anche altro: in Italia «è in costante aumento il numero dei bambini che affermano di essere transgender: alcuni soffrono di disforia di genere, alcuni chiedono semplicemente di cambiare sesso e a giudizio dell’interrogante in troppi casi vengono accontentati», scrive Gasparri.

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«CHI CREDE SIA una scelta non sa nulla. Non è che diventi trans, nasci trans. Poi a un certo punto della vita lo capisci e prendi in mano la tua identità di genere. Se ci riesci», dice Cinzia, che ha 56 anni, al momento è disoccupata e insieme ad altri genitori ha creato l’associazione Affetti oltre il genere. Sua figlia, racconta, già a tre anni diceva a tutti di essere una bimba e come tale viveva: «Pensava noi fossimo cattivi perché la trattavamo come un maschietto per le caratteristiche fisiche del suo corpo». Non è facile, la prima reazione è il rifiuto.

Quando Greta cresce e va a scuola è sempre più triste, chiusa, isolata. Non riesce a stringere amicizie. Poi a 12 anni il coming out: sono una femmina, dice al padre. La mamma legge il libro Mio figlio in rosa che parla di un’adolescente transgender. Contatta l’autrice, Camilla Vivian. È lei a indirizzarla al Careggi. La figlia inizia a frequentarlo a 12 anni e «da lì cambia tutto». Prima gli incontri mensili con la psicologa. Poi con l’endocrinologa. Ottenuta l’idoneità da una commissione che riunisce diverse figure professionali ottiene i farmaci bloccanti. Adesso ha 18 anni e assume gli ormoni femminili.

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«NON È CHE VAI al Careggi e dici: mi chiamo Silvia ma voglio essere Giovanni e ti danno la terapia. C’è tutto un percorso dietro. Non è così semplice, non è scontato. Ci sono molte valutazioni scientifiche», spiega Silvia P. È una life coach olistica, ha 45 anni e due figlie. Zoe, la più piccola, è arrivata al Careggi a 12 anni, nel 2022. «C’è stato un lungo percorso psicologico. Poi sono stati fatti degli esami per valutare la compatibilità del corpo con la terapia e delle valutazioni da tutta l’équipe. Per fortuna è risultata idonea e ora assume la triptorelina – continua – Così è finalmente uscita dal guscio».

Emma invece ha 11 anni e mezzo ed è seguita dall’ospedale fiorentino da quando ne aveva 9. Per il momento senza terapie farmacologiche. «Il sostegno continuo della psicologa specializzata in età evolutiva è già stato prezioso. Mia figlia ha avuto un cambiamento molto positivo. Sappiamo che per i farmaci bloccanti c’è un momento preciso della vita. Noi speriamo li possa prendere perché la pubertà incombe e in questa situazione produce sofferenza. Ma sono i medici a decidere. Dovranno valutare se è idonea», racconta la madre, Valentina M. La donna, 43enne, fa l’operaia in un’industria alimentare e ha altri tre figli. Quando vedeva i comportamenti femminili di Emma credeva sarebbe diventata un uomo omosessuale, sono state le due figlie più grandi a dirle: mamma non è gay, è trans. «Devo ringraziarle per avermi aiutato a capire», dice.

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TUTTI QUESTI GENITORI sanno che la triptorelina può avere effetti collaterali anche gravi, in particolare rispetto allo sviluppo osseo, ma concordano su un punto: sulla bilancia insieme a quei rischi dobbiamo pesare le conseguenze della non assunzione.  Abbiamo paura, dicono, perché i suicidi tra gli adolescenti transgender sono molto diffusi. Questo spettro appare dietro il rifiuto del corpo, nelle docce in penombra o, a volte, in comportamenti che alludono all’automutilazione. «Chi non ha vissuto queste cose non può capirle», affermano le mamme.

«È necessario che nascano nuovi centri come il Careggi – sostiene Cinzia – Invece da un anno vediamo che anche quella struttura è sotto attacco. È vergognoso che per interessi politici siano strumentalizzate le persone che hanno bisogno di quelle terapie».