Parigiani (Mit): «I trattamenti medici devono stare al servizio dell’autodeterminazione»
Roberta Parigiani è avvocata e portavoce politica del Movimento Identità Trans (Mit). L’organizzazione ha denunciato l’assenza dei bisogni e desideri delle persone trans e non binarie dal dibattito sui farmaci per la sospensione dello sviluppo puberale.
Sostenete che vi trattino come «pazienti, numeri e dati medico/statistici» senza ascoltare la vostra voce. Cosa avete da dire?
Non si può improntare un simile dibattito su un piano esclusivamente scientifico, prescindendo dal confronto con chi subisce sulla propria pelle gli effetti di alcune decisioni. Altrimenti scompaiono le necessità delle persone trans, le difficoltà di chi non riesce ad accedere ai trattamenti, gli aspetti umani ed esperienziali positivi di questi percorsi di affermazione di genere. La comunità trans e non binaria, composta anche da adolescenti, utilizza quegli strumenti medici per far fronte a un’esigenza di vita.
Avete scritto che l’esperienza trans non è riducibile alla sua interpretazione scientifica, ma ha una dimensione soggettiva che diventa rivendicazione politica e culturale, «un manifesto fisico di autodeterminazione».
Abbiamo rivendicazioni intersezionali che non abbracciano solo la nostra comunità. Chiediamo di poterci autodeterminare, come altre minoranze. Gli strumenti forniti alla persona trans devono valorizzare la sua libertà di scelta del genere. Se tutto il dibattito si schiaccia su una valutazione psicodiagnostica o sui livelli di sperimentazione ci si dimentica che lo strumento non è al servizio della scienza ma delle persone, della loro libertà.
Quindi contestate la relazione medico-paziente pensata come rapporto soggetto-oggetto.
Sì, perché in questo dibattito noi appariamo solo come casi statistici o persone sopra le quali si fa un certo discorso sanitario. Ho letto l’intervento del dottor Vittorio Lingiardi su Repubblica: è utile, ma la critica a Sarantis Thanopoulos resta limitata al mancato coinvolgimento delle associazioni scientifiche. La libertà di scelta delle persone trans non compare e per noi autodeterminarci nel genere è la rivendicazione fondamentale.
Nel caso di questi farmaci, però, l’argomento è più delicato perché parliamo di minori. La libertà di scelta entra in conflitto con il dubbio sulla loro effettiva capacità di decidere.
Intanto parliamo di farmaci che sospendono lo sviluppo della pubertà in modo temporaneo e reversibile. Rispetto alla capacità di scelta della persona minore mi pare che la domanda sorga solo per le tematiche di genere. La legge dice che il consenso informato al trattamento sanitario è espresso, in questo come in tutti gli altri casi, dai genitori che esercitano la responsabilità genitoriale tenendo conto della volontà del minore, commisurata alla sua età. Questi farmaci sospendono lo sviluppo puberale, quindi non riguardano bambini/e ma adolescenti. In altre prassi mediche la loro volontà è presa in considerazione. Comunque, dato che esistono adolescenti trans, su un piano etico cosa dovremmo fare? Ignorare tutte le loro esigenze o solo questa? Sarebbe una scelta politica con dei pregiudizi sul loro benessere.
I rischi di questo tipo di terapie non sono troppo alti? Ad esempio la Società Psicoanalitica Italiana afferma che bloccando lo sviluppo sessuale o manipolando un corpo si riduce l’appagamento erotico.
[Ride] Questi trattamenti medici sono forniti con assoluta prudenza da un team multidisciplinare che studia il caso su tutti i fronti. Non è che alla prima richiesta si propongono i farmaci. La medicina interviene, su maggiorenni e minori, bilanciando interessi e necessità. Dalla mia esperienza di ascolto delle persone che si sottopongono alla sospensione dello sviluppo puberale posso dire che nessuna torna indietro.
Al Mit avete casi di minori che seguono questi percorsi?
Seguiamo molti minori, ma non mi risulta che in questa fase l’équipe sanitaria bolognese abbia prescritto farmaci per la sospensione della pubertà. Il punto di riferimento per questi trattamenti è l’ospedale Careggi di Firenze, dove un team multidisciplinare li eroga dal 2019.
In genere i neuropsichiatri con cui avete a che fare sono ostili o favorevoli ad accompagnare le persone in questi percorsi?
I neuropsichiatri che si confrontano con soggettività gender creative o gender variant hanno una competenza specifica su tutte le declinazioni del genere. Non esiste una pregiudiziale volontà di fornire o meno i farmaci. L’obiettivo è trovare la strada migliore ascoltando il minore e bilanciando esigenze e desideri. A fronte di tutti gli adolescenti che hanno questioni sull’identità di genere quelli che si sottopongono a questi trattamenti farmacologici sono una piccola percentuale. Se lo fanno è perché hanno una necessità di autodeterminazione importante per il loro sviluppo sano e sereno.
Qual è stato il suo rapporto con le terapie farmacologiche?
Il mio percorso medicalizzato di affermazione di genere è stato solo una tappa della transizione. Purtroppo quando ho fatto accesso alla terapia ormonale, femminilizzante nel mio caso, ero ben oltre la pubertà perché allora non c’erano i trattamenti sospensivi. Vi ho riposto molte aspettative per la mia serenità fisica.
Dell’esperienza trans fa parte anche la sofferenza. Pesa più il rapporto con un corpo che non si riconosce come proprio o il mancato riconoscimento sociale di alcune identità di genere?
La sofferenza viene da una società che non ti riconosce e ti binarizza. Il disagio e le difficoltà sono indotti da un mondo cis e patriarcale. I percorsi di affermazione di genere, medicalizzati o meno, nascono in questo contesto. Riconoscendo l’autodeterminazione della persona la si aiuta a vivere una corporalità più serena. Dobbiamo superare la visione dei corpi sbagliati. I corpi sono sempre giusti, è questa società che li vuole incasellare facendoli sembrare sbagliati.
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