L’ospedale fiorentino di Careggi ospita uno dei pochissimi centri italiani specializzati nel trattamento della disforia di genere nell’età evolutiva e adulta anche con lo strumento farmacologico. In alcuni casi, infatti, si ricorre a ormoni come la triptorelina per bloccare lo sviluppo puberale, una procedura assai delicata soprattutto quando viene somministrata in età adolescenziale. Dell’équipe che si occupa di questi trattamenti fa parte l’endocrinologa Alessandra Fisher, che è anche la presidente della Società Italiana di Genere, Identità e Salute (Sigis).

Alessandra Fisher, endocrinologa

Dottoressa Fisher, quanti adolescenti ricorrono all’uso dei farmaci bloccanti?

Attualmente abbiamo in carico circa 150 minori e il trattamento farmacologico riguarda circa il 40% di loro. È importante sottolineare che non parliamo di bambini, come talvolta è stato scritto. Si tratta di adolescenti: al primo accesso, la fascia più rappresentata è quella dei 14-16 anni di età. A noi però non si rivolgono solo adolescenti, ma anche adulti, nonostante l’età media di accesso alla struttura sia in diminuzione. Dieci anni fa era di circa trentasei anni, oggi è sensibilmente più bassa. È un dato positivo, perché significa che chi ne sente il bisogno accede con più facilità a un servizio specialistico ed evita di ricorrere a terapie autogestite, potenzialmente pericolose.

Il numero di adolescenti che si rivolge al vostro centro è in crescita?

Osserviamo un incremento delle richieste. Ne attribuiamo la causa a una maggiore consapevolezza delle questioni legate all’identità di genere e a una più ampia conoscenza di centri come il nostro, non a un aumento del fenomeno. Al nostro centro si rivolge maggiormente il genere femminile. Questa differenza si osserva anche in altri Paesi, ma è un tema di ricerca e non c’è una spiegazione certa. Un’ipotesi è che le persone assegnate femmine alla nascita riescano a chiedere aiuto con più facilità poiché percepiscono minor stigma nell’accedere ai servizi assistenziali.

Per spiegare questo incremento si cita spesso l’«effetto contagio».

Non condividiamo questa posizione. Incontriamo tante ragazze e ragazzi che, se potessero scegliere, farebbero volentieri a meno di sottoporsi a queste terapie. È impossibile influenzare l’identità di genere fino a questo punto.

Quali valutazioni vengono fatte prima di utilizzare farmaci bloccanti?

Sono prescritti i casi selezionati in base a specifici criteri. Tra questi c’è la valutazione di un endocrinologo sull’avvenuto raggiungimento dello stadio puberale 2 sulla scala di Tanner. Si tratta cioè di adolescenti che hanno iniziato la pubertà, non di bambini. Si esamina anche lo stato generale di salute della persona, ad esempio dello scheletro, con la densitometria ossea. Poi c’è una valutazione psicologica in cui si stabilisce se sia davvero un’opzione al fine del benessere dell’adolescente. Lo scopo della terapia ormonale è guadagnare il tempo per arrivare a una maggior consapevolezza rispetto alla propria identità di genere in uno stato d’animo più sereno. Viene valutata anche la capacità di fornire un consenso informato alla terapia e tutto avviene con il consenso della famiglia. I benefici vanno soppesati con i rischi che si possono manifestare negli adolescenti. Parliamo di rischio suicidario, ma anche di abbandono scolastico, autolesionismo, mancanza di relazioni che abbia impatto sullo sviluppo cognitivo e su tutti i rischi di connessi a uno stile di vita non sano come quello di chi si chiude in casa.

Chi effettua le valutazioni sui trattamenti?

L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) prevede che la valutazione sia fatta da un’équipe multidisciplinare di cui facciano parte uno psicoterapeuta dell’età evolutiva, un neuropsichiatra, un endocrinologo e un bioeticista. L’ospedale di Careggi è stato a lungo uno dei pochi centri in cui questo era possibile. La Sigis sta lavorando adesso a mappatura dei centri italiani in cui ci sono le condizioni previste dall’Aifa.

Cosa sappiamo sulla sicurezza dei farmaci bloccanti?

Sono ampiamente prescritti per il trattamento della pubertà precoce, quindi in un range di età ben più basso di quello adolescenziale, e oggi sono disponibili anche studi sulla sicurezza e efficacia del trattamento negli adolescenti con incongruenza di genere, anche sul piano psicologico. Riguardo ai rischi, come tutti i trattamenti anche questi farmaci hanno potenziali effetti collaterali ed è importante che l’adolescente e la famiglia ne siano informati, che venga effettuato un adeguato monitoraggio e che l’adolescente abbia uno stile di vita sano. Per esempio, nel periodo in cui l’adolescente segue la terapia è possibile che le ossa siano meno resistenti. Per questo si verifica la densitometria ossea prima di iniziarla. Se tuttavia si sospende la terapia o si inizia la terapia di induzione della pubertà verso un percorso di affermazione di genere, la salute ossea in gran parte si recupera. Va detto che anche la mancata assunzione dei farmaci non è priva di conseguenze: anche l’autoreclusione, con una minore esposizione all’aria aperta e alla luce solare, può avere un impatto negativo sulla densità minerale ossea. Infine, oggi sappiamo che il trattamento è del tutto reversibile. La pubertà riprende il suo corso nel caso venga deciso di sospendere il trattamento.