Il governo cinese sembra non aver alcuna intenzione di abbandonare la strategia «zero Covid» che impone rigidi lockdown a Shanghai e presto anche a Pechino. Nella capitale ieri si sono registrati appena 61 casi sintomatici su 24 milioni di abitanti ma scuole, parchi, bar, ristoranti, palestre sono già chiusi. L’inflessibilità della strategia cinese appare incomprensibile agli occhi occidentali e non solo. Persino Taiwan, altro campione dell’approccio «zero Covid», di fronte all’ondata generata dalle varianti Omicron ha deciso pochi giorni fa che fermare il virus è impossibile e tanto vale attrezzarsi a conviverci.

SEMPRE PIÙ CITTADINI cinesi esprimono il loro dissenso nei confronti di provvedimenti dal grande costo sociale ed economico, dentro e fuori dalla Cina.
Uno studio pubblicato ieri dalla rivista Nature Medicine forse spiega l’inflessibilità del governo cinese. Secondo gli autori della ricerca, senza le regole introdotte per controllare i focolai nel giro di sei mesi la Cina andrebbe incontro a una catastrofe sanitaria. Lo studio è stato coordinato dall’epidemiologo Hongjie Yu dell’università Fudan di Shanghai e vede la partecipazione anche dell’italiano Marco Ajelli dell’Università dell’Indiana (Usa).

«L’introduzione della variante Omicron in Cina a marzo 2022 avrebbe avuto il potenziale di generare uno tsunami di casi», affermano gli autori. «Simulando un orizzonte di sei mesi, un’epidemia simile avrebbe causato 112 milioni di casi sintomatici, 5,1 milioni di ricoveri, 2,7 milioni di pazienti in terapia intensiva e 1,6 milioni di morti», un numero esorbitante rispetto ai 5.179 decessi ufficiali per Covid-19 dichiarati dal governo cinese dopo due anni di pandemia. Studi come questi sono basati sulle simulazioni al computer. Gli scienziati hanno elaborato un modello quanto più realistico possibile della società cinese incorporando i dati reali sui flussi di trasporto, sulla dimensione dei nuclei familiari, sulla rete dei contatti sociali e sulle vaccinazioni. Messo a punto il modello, si simula la diffusione di un virus in questa società-giocattolo, ripetendo l’esperimento milioni di volte per individuare le evoluzioni più probabili. Quello apparso ai ricercatori è uno scenario catastrofico, che metterebbe in ginocchio gli ospedali e che spaventa il governo di Pechino: al picco dell’ipotetica ondata, servirebbero un milione di posti letto di terapia intensiva in tutta la Cina, cioè quindici volte più dei 64 mila attualmente disponibili.

I RICERCATORI hanno anche valutato le possibili alternative al lockdown, basate su un’ulteriore campagna vaccinale, sull’utilizzo dei farmaci anti-virali o sul rafforzamento delle misure di distanziamento sociale. Nessuna di queste strategie riuscirebbe da sola a rallentare l’epidemia: «In tutti gli scenari – scrivono i ricercatori – il fabbisogno massimo di posti letto di terapia intensiva supererebbe la disponibilità reale tra le 1,7 e le 14,1 volte».
Se però le misure di contenimento fossero adottate in contemporanea, la curva epidemica potrebbe rimanere entro le soglie di tenuta del sistema sanitario anche senza un lockdown generalizzato. «Un elemento cruciale è l’aumento della copertura vaccinale nella popolazione anziana e un uso diffuso delle terapie antivirali» sottolineano gli autori della ricerca. La maggior parte dei casi gravi, infatti, si verificherebbe nella popolazione anziana non vaccinata, minoritaria ma ancora numerosa. A Shanghai, ad esempio, il 38% degli ultrasessantenni non è ancora vaccinato. Le stesse autorità, d’altronde, hanno ammesso di fare scarso affidamento sull’efficacia dei vaccini cinesi. E ora preferiscono non correre rischi.