Supermercati presi d’assalto e strade deserte: le immagini postate sui social media in queste ore ritraggono la situazione attuale di Shanghai, l’ultima città cinese in cui la variante Omicron ha richiamato la necessità di misure stringenti. In risposta ai nuovi focolai, che hanno determinato il numero maggiore di contagi dal 2020, nelle ultime settimane Pechino ha restaurato la strategia “zero Covid”, spazzando via i recenti dibattiti sulla possibilità di modifiche e allentamenti parziali.

A inizio mese, Shanghai aveva già ripristinato la didattica a distanza nelle scuole. Ma i timori di un lockdown totale – il primo per il centro finanziario del paese – sono stati scongiurati a più riprese dalle stesse autorità municipali, a favore di un approccio che non compromettesse il suo ruolo strategico per l’economia nazionale.

Poi, il dietrofront. Nella tarda giornata di domenica il governo locale ha confermato l’applicazione di misure di contenimento in due fasi, in risposta ai cinquanta casi sintomatici e ai 3.450 asintomatici – il 70% del totale nazionale – registrati in giornata. La prima fase, che ha preso il via ieri, ha visto il blocco dei trasporti pubblici e privati e il divieto assoluto di uscire di casa nelle aree a est del fiume Huangpu – inclusa Pudong, la zona che offre lo skyline da cartolina. Dal primo aprile si procederà con la seconda fase, che estenderà il lockdown anche nei distretti a ovest del fiume. In questo modo, hanno spiegato le autorità, si consentirà il tracciamento degli oltre 25 milioni di abitanti entro martedì della prossima settimana.

L’applicazione improvvisa delle misure ha spinto la popolazione a prendere d’assalto i servizi alimentari e quelli di consegna. Se pare che l’aeroporto di Pudong e altri centri strategici siano operativi – incluso il terminal per container di Yangshan, alcune grandi fabbriche, come quella di proprietà della Tesla, hanno già sospeso la produzione.

Mentre il centro finanziario entra in una nuova fase della crisi pandemica, dal resto del paese si inviano segnali di apertura. Nei giorni scorsi Shenzhen è uscita da un lockdown durato una settimana, che ha visto il blocco produttivo dei siti di alcuni colossi come Apple e Volkswagen.

Anche Hong Kong sembra ormai essere uscita dal picco delle scorse settimane: in data 11 marzo i casi registrati totali erano oltre 29 mila e il tasso di mortalità era di 3,28 decessi ogni 100 mila cittadini – superiore a quello del Regno Unito nel picco della crisi pandemica pre-vaccinazioni.

Pare sia stato proprio l’esodo di massa dall’ex colonia britannica a determinare i focolai di Shenzhen e Shanghai. È quanto emerge da un’analisi di Bloomberg, che evidenza come gli aumenti dei contagi si siano registrati nello stesso periodo e come siano una conseguenza diretta della scarsa sorveglianza nelle strutture di quarantena nelle due metropoli: secondo quanto comunicato dalle autorità locali, a Shenzhen i casi provenienti da Hong Kong hanno contato per il 93% dei 901 casi importati confermati dal 26 marzo. A Shanghai, più della metà.

A mettere a dura prova il paese è stata l’alta trasmissibilità di Omicron, combinata a un vaccino di produzione nazionale, Sinovac, che non fornisce una protezione significativa per le varianti. Pechino si è vista obbligata a rivedere le linee guida pandemiche per includere l’uso delle pillole antivirali prodotte da Pfizer. Intanto, sono partite le sperimentazioni locali: di recente le autorità hanno iniziato a somministrare la pillola Paxlovid nella provincia nordorientale di Jilin, tra le più colpite dai nuovi focolai.