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Vovchansk, canto funebre per una città

Vovchansk, canto funebre per una cittàAlcuni abitanti guardano la propria casa andare in fiamme dopo un attacco russo – Evgeniy Maloletka/Ap

Reportage «Il corpo di mio fratello è là da qualche parte»: Ira era sfollata con Pavel, che ha incontrato l’incubo di tutti: un drone russo. E senza corpo, niente funerale. Nel Kharkiv letale quasi come il Donbas

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 6 giugno 2024
Sabato Angieri INVIATO A BUGAIVKA

Ira è seduta all’ombra di un vecchio gazebo in giardino, quasi non si noterebbe se non per quei capelli nerissimi che contrastano con il muro grigio alle sue spalle. Ha il cellulare all’orecchio e agita il braccio libero come chi è in una conversazione concitata. Bugaivka è lungo la strada che da Vovchansk scende verso sud parallelamente al fiume Seversky Donec.

Prima della guerra era un paesino di contadini in parte diventato luogo di villeggiatura estiva. Molte case sono «dacie», case rurali di villeggiatura che i residenti delle città ereditano o comprano nelle sconfinate campagne ucraine e russe. Qui veniva la classe media di Kharkiv, e quando chiediamo informazioni a un militare ci dice che l’evacuazione è stata molto rapida perché c’era poca gente. Ma la differenza tra i villeggianti e i contadini si vede subito. Questi ultimi sono rimasti. A meno di 20 chilometri c’è il peggiore campo di battaglia d’Ucraina al momento, e loro strappano erbacce a mano, portano le vacche a pascolare o lavorano nei campi.

IRA È IMMOBILE, fissa lo stradone quasi sempre deserto e non dice nulla. Quando le siamo accanto scoppia a piangere. Difficile dire da quanto sia lì. «Scusate» dice, e riprende il telefono. Ma c’è poco campo e non riesce a concludere la conversazione, allora ricomincia a piangere. Ha bellissimi occhi grigio-azzurri. «Due giorni fa» inizia a raccontare «mio fratello è morto a Vovchansk». Si ferma un attimo e poi ricomincia. «È stato colpito da un drone. Il suo corpo è rimasto in strada per non so quanto tempo e ora non so dov’è».

A RACCONTARLE l’accaduto sono stati dei vicini che hanno visto il fratello morto e l’hanno chiamata. Da quel momento Ira piange a dirotto in giardino e telefona continuamente. «La polizia non sa dov’è, i militari non sanno dirmi niente. Potete chiedere voi?». Proveremo, ma ai giornalisti non le danno queste informazioni. «Grazie, grazie. Si chiamava Pavel Aleksevic Zolotar, era nato il 25 giugno 1984. Quest’anno avrebbe compiuto quarant’anni».

Persone vengono evacuate da Vovchansk foto di foto di Evgeniy Maloletka/Ap.

NON SI È VOLUTO far evacuare da Vovchansk perché non aveva dove andare, chissà se per ignoranza o dalla mancanza di risorse economiche – ma spesso i due casi coincidono. Comunque Pavel era voluto restare. Un giorno è uscito per comprare qualcosa ed è stato freddato da un drone. Ora la sorella vorrebbe che il suo cadavere non restasse in un obitorio qualsiasi buttato in un sacco nero vicino a tanti altri ancora da riconoscere o senza nessuno che li reclami.

Per i cristiani ortodossi il funerale è un rito molto importante e anche nelle aree più pericolose d’Ucraina, in ogni stagione e con ogni condizione metereologica, abbiamo visto familiari organizzare cerimonie per i propri morti. Coroncine di carta sui visi dei defunti nelle bare aperte (quando possibile), candele gialle e sottili, corone di fiori intrecciate e ricchissime, tante fotografie e oggetti cari al defunto. Si trova il tempo per tutto, ai soldi ci pensano i vicini, se non bastano. Tutti partecipano ai funerali, dai neonati agli anziani che a malapena si reggono sul bastone, e si baciano i familiari più stretti che tengono anche loro candele gialle accese. Ira vorrebbe ricordarlo così Pavel, ma senza corpo non può.

LEI SI TROVA a Bugaivka perché lavora qui da anni e quando i russi hanno iniziato l’offensiva a inizio maggio si è trasferita con il marito nella casetta a un piano davanti alla quale l’abbiamo incontrata. «Però anche qui sta diventando impossibile» racconta, «viviamo solo con il cibo degli aiuti umanitari, i negozi hanno chiuso». Per l’acqua? Indica il pozzo alle nostre spalle. La luce è stata tagliata da un pezzo. All’interno della casa sentiamo movimenti, c’è suo marito, che non esce mai. Ci sono vicini? Qualcuno, ma pochissimi.

Ira, foto di Sabato Angieri

SE SI ESCLUDONO le regioni del Donbass, il Kharkiv è l’oblast con il maggior numero di morti civili dall’inizio della guerra. Secondo le autorità ucraine solo nel 2022 oltre 1700 e dall’inverno 2023 al maggio 2024 oltre 500. Uno dei problemi principali in questa regione, motivo per cui i dati sono temporalmente separati, è che dopo la controffensiva ucraina del 2022 che aveva riportato gli schieramenti alle linee della frontiera prebellica i civili erano tornati. Ora che i russi hanno attaccato di nuovo, molti di loro hanno dovuto scegliere. C’è chi, come forse Pavel, è tornato dopo essersene già andato una volta e ora non ha alcuna intenzione di andarsene di nuovo.

Altri, invece, hanno caricato le vecchie Lada o sono saliti sui pulmini delle associazioni umanitarie e, pieni di bustoni, hanno cercato una sistemazione nel centro o nell’ovest dell’Ucraina. Questa seconda categoria non si sposterà più fino a che non sarà chiaro sotto quale bandiera si troverà la loro casa. E, nel caso in cui sia bianca rossa e blu, potrebbero anche dover addio a tutto ciò che avevano.

Non solo beni materiali. A parte le dacie, tutta l’area dove ora si combatte è occupata principalmente da zone agricole. Qui tutti hanno un orto e un po’ di terra. Ancora dopo due anni stupisce vedere l’anziana di turno che prima di salutarti sparisce da qualche parte e ritorna con un barattolo delle tipiche conserve locali, magari di cetriolini. Sono figli di contadini, spesso contadini anche loro, con la mentalità di chi non ha mai comprato frutta e verdura in un supermercato. Toglierli la terra e confinarli in centri d’accoglienza alle periferie delle città è una punizione mortale. Alcuni vecchi, seduti fuori dai palazzoni sovietici che li ospitano, guardano nel vuoto e non fanno niente tutto il giorno. Gli è stata tolta la loro vita in cambio di una branda in uno stanzone.

ANCHE QUESTO fa la guerra, non ti ammazza soltanto, ti porta via ciò a cui eri abituato e ti costringe a vivere come non vorresti mai. Per molti è una punizione peggiore del rischio di morire e, quindi, decidono di restare. E i cimiteri di paese continuano a riempirsi di corone di fiori, anche dove le bare non ci sono ancora.

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