Siamo colpiti dalla crescita costante di quanto, in semplice italiano, si chiama viltà: la prevaricazione violenta della legge dei più forti nei confronti degli inermi. E non è un caso che esso trova oggi il suo coronamento in un partito di maggioranza relativa che, pur guidando il governo della Repubblica, non rifiuta, talvolta sbandiera, le proprie radici fasciste.

Sbagliamo quando ci limitiamo a chiamare violenti, atroci, persino sadici, atti che sono, anche e soprattutto, vili. Senza risalire al secolo scorso, sono state vili le bastonate di pacifisti inermi alla Diaz, le torture inflitte ad alcuni di essi a Bolzaneto, nel corso del G 8 di Genova, da parte di forze di polizia e guardie carcerarie armate fino ai denti, in ossequio ad ordini superiori. Sono atti di viltà le violenze perpetrate da altri poliziotti nei confronti del fisico emaciato di Stefano Cucchi, di altri innumerevoli arrestati e disarmati, in condizioni analoghe, sotto la copertura omertosa della superiore gerarchia o, addirittura della popolazione circostante, come quella recentemente subite da Hasib Omerovich, intruso Rom invalido di Primavalle. Oltre che ripugnante, è vile il comportamento di guardie carcerarie e forze di polizia, in tenuta antisommossa, appositamente convocate, che hanno inflitto ai detenuti, invalidi compresi, una vera e propria mattanza punitiva nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. È vile il rifiuto generalizzato di carabinieri, polizia, finanza e guardie carcerarie di qualsiasi forma di identificabilità che li renda soggetti alle leggi dello Stato e anche dell’Unione Europea il cui tribunale tuttora denuncia l’inconsistenza della nostra legislazione in fatto di tortura. La passività colpevole anche dei più critici ha contribuito a indebolire le forze, minoritarie ma esistenti, democraticamente impegnate all’interno delle c.d. forze dell’ordine.

Se tutto ciò è avvenuto con qualche imbarazzo, e sporadica contraddizione, sotto governi che si proclamavano democratici, questi atti dì viltà non solo non vengono contraddetti, ma rientrano nello stile insito nei primi atti legislativi del governo Meloni, fino ad ispirare livelli generali di politica interna ed estera. O, a contrariis, di vere e proprie occasioni mancate da parte di un governo che avrebbe potuto e dovuto tagliare le radici del proprio passato, non con abiure a mezza bocca, subito smentite da richiami nostalgici – La Russa docet – ma con atti di segno opposto. Questo governo avrebbe potuto rivendicare un’equa distribuzione europea degli oneri derivanti da migrazioni, destinate a durare nel tempo, in nome di una totale difesa della sacralità delle vite umane nel mare che ci circonda, a esclusione delle pratiche effettuate da Frontex, a suo tempo ispirate da Marco Minniti – Matteo Renzi e Paolo Gentiloni consulibus – con patti scellerati tuttora vigenti con scafisti travestiti da guardie costiere libiche, condannati dalle competenti istanze delle Nazioni Unite.

Invece, dopo qualche salvataggio, altre iniziative legislative contro i soccorritori Ong; ancora atti vili perché effettuati manu militari nei confronti di strutture di volontari, disperatamente impegnate in operazioni di salvataggio, materialmente inermi.

Vile può anche essere un atto di non obbligata sottomissione alle ragioni e agli interessi del più forte.

All’epoca della ratifica del trattato di Maastricht, il gruppo di Alleanza Nazionale vi si – votò in nome di una superiore sovranità politica europea, affrancata da orpelli statunitensi e finanziari. (Votò contro con altre modalità e diverse motivazioni anche Rifondazione Comunista, sbagliando, ad avviso di chi scrive, ma non è questo il punto, perché l’istituzione dell’euro costituiva un passo essenziale verso l’unità europea).

Un precedente prezioso che avrebbe potuto diversamente ispirare il governo di Giorgia Meloni, nel contesto della guerra ucraina e dei conseguenti rifornimenti energetici, di fatto impegnato a inseguire il ruolo che Gianni Baget-Bozzo in altra epoca definiva di Bulgaria della Nato.