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Vertice Nato, Biden frena: «prematuro» l’ingresso di Kiev

Il presidente Usa Joe Biden con il re Charles III al Castello di Windsor foto di Susan Walsh/ApIl presidente Usa Joe Biden con il re Charles III al Castello di Windsor – foto di Susan Walsh/Ap

Crisi Ucraina Il summit comincia oggi a Vilnius, il presidente Usa a Londra vede Carlo III e il premier Sunak che lo critica per le cluster bomb

Pubblicato più di un anno faEdizione del 11 luglio 2023

Finché morte non li separi. Era innanzitutto per ribadire a Rishi Sunak la scontatezza della special relationship fra Stati uniti e Gran Bretagna che Joe Biden ha passato le 24 ore di ieri tra Londra e Windsor, alla vigilia del summit Nato di oggi a Vilnius. Poi, per porre rimedio a una villania diplomatica; infine, per abbozzare una strategia comune per gestire le puntute questioni che vi si porranno, come la recente decisione americana di dotare l’esercito ucraino di bombe a grappolo, disapprovate fra gli altri proprio dalla Gran Bretagna, uno degli oltre centoventi paesi – Usa e Russia assenti – ad averle messe al bando. Infine, la controversa tempistica dell’ingresso ad honorem dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica sulla quale il presidente americano si è espresso perentoriamente alla vigilia della partenza, definendola «prematura». Tutto sotto l’occhio frigorifero di Vladimir Putin, pronto a scansionare il minimo segno di divisione, a gioirne e approfittarne.

42 I MINUTI con Sunak: una toccata e fuga, utile comunque ad allineare entrambi i paesi sulla posizione da tenere oggi con gli altri 28 membri della Nato circa la rapidità di esecuzione della promessa/minaccia – risalente alla dichiarazione di Bucarest del 2008 – dell’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza. Lo stesso ingresso che aveva già contribuito – come disinvoltamente ormai riconoscono anche i media mainstream anglofoni – a innescare l’aggressione russa in prima istanza. Sulle voci di un disaccordo inglese sulla lentezza di detto ingresso – Londra scalpiterebbe quanto i paesi baltici e la Polonia – Biden ha raffreddato gli animi, suggerendo di attendere almeno che finisca la guerra e senza affatto sperticarsi a favore di una modalità troppo accelerata. Sulla questione bombe a grappolo, la situazione è invertita: è Sunak ad averne appunto «scoraggiato» l’uso nel colloquio, il massimo possibile nei confronti di un paese non firmatario della loro messa al bando.

BIDEN E SUNAK si erano già visti cinque volte nell’ultimo mese e davvero non c’era un bisogno soverchio di un sesto meeting, se non per ripetere l’ovvietà di un’alleanza «solida come una roccia» fra i due paesi. «Non ho mai incontrato amico più stretto e alleato più grande», ha dichiarato Biden, mantenendosi prudentemente lontano da sorprese. Che la special relationship fra l’impero di ieri e quello di oggi sia più una special subordination, amen: l’importante è lasciarsi alle spalle incontri orribili del recente passato come quelli fra Donald Trump e Theresa May. Le cose sono assai migliorate con Sunak: la Windsor Framework, il set di accordi-cerotto da lui conclusi per rabberciare gli strappi con l’Unione europea, hanno per ora soffocato le fiamme attizzate da Boris Johnson in Irlanda del Nord, e tranquillizzato il presidente americano, sgomento dalle ebbre traiettorie post-Brexit del Regno Unito. I due paesi hanno recentemente firmato un’Atlantic Declaration che delinea una mutua collaborazione sullo sviluppo e la gestione dell’intelligenza artificiale e sulle energie cosiddette rinnovabili. Sul fronte militare sono invece al fianco dell’Australia nell’alleanza Aukus, volta al contenimento militare del pericolo cinese nell’Indo-pacifico.

TROPPO BREVE anche per una visitina di Stato, ma più che sufficiente per togliersi dai piedi il primo incontro ufficiale con Charles Windsor dacché incoronato: quella cerimonia, Biden l’“irlandese” l’aveva infatti snobbata, mandando la moglie Jill in sua vece (agli oltraggiati dignitari la Casa bianca aveva risposto che i presidenti americani non frequentano incoronazioni, ma si sono offesi lo stesso). Sicché ieri, dopo aver passato di corsa, si fa per dire, in rassegna le Welsh Guards, i due non imberbi eco-guerrieri hanno parlato soprattutto di questioni ecologiche, quelle con cui Charles si gingillava fin da piccolo nel lungo suo viaggio alla ricerca di se stesso. Tutti ora, finalmente, lo prendono sul serio dopo averlo per decenni trattato da incompreso.
Come già la madre, tante volte oltraggiosamente sfiorata da mani borghesi nei suoi incontri ufficiali, Charles the Third è stato inoltre oggetto delle bonarie pacche sulle spalle disseminate con atlantica largesse da un Biden vittima consenziente della sua genetica avversione a un protocollo feudale che da secoli avviluppa la socialità monarchica come un sudario.

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