Katerina Gordeeva, l’eco delle ferite nella vita che resiste
L’intervista Parla l’autrice di «Oltre la soglia del dolore», per 21 lettere. L’invasione dell’Ucraina e la propaganda di Mosca raccontata in prima persona dalle voci dei civili. «L’odio è la reazione più semplice alla violenza. Ma chi ho incontrato pensa di dover imparare a vivere fianco a fianco con il proprio vicino». «Se finirà il potere di Putin, anche la guerra si fermerà. Ma come curare un intero Paese? La Russia è molto malata e il suo leader ne è solo la manifestazione esterna più evidente»
L’intervista Parla l’autrice di «Oltre la soglia del dolore», per 21 lettere. L’invasione dell’Ucraina e la propaganda di Mosca raccontata in prima persona dalle voci dei civili. «L’odio è la reazione più semplice alla violenza. Ma chi ho incontrato pensa di dover imparare a vivere fianco a fianco con il proprio vicino». «Se finirà il potere di Putin, anche la guerra si fermerà. Ma come curare un intero Paese? La Russia è molto malata e il suo leader ne è solo la manifestazione esterna più evidente»
Una famiglia divisa tra Russia e Ucraina, un lavoro come giornalista indipendente e corrispondente di guerra (Cecenia, Afghanistan, Iraq): la vita di Katerina Gordeeva è cambiata definitivamente nel 2014, quando, come spiega, «il mio Paese ha mosso guerra a quelli che amo». Si trattava delle prime battute di quel conflitto che ha poi visto i carri armati russi invadere il territorio ucraino il 24 febbraio del 2022. Da quel momento, Gordeeva, che aveva deciso di lasciare Mosca già dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia, si è trovata in prima linea nella denuncia delle brutalità del regime di Putin: nel 2020 ha creato il suo canale su youtube, che oggi conta più di un milione di iscritti e ha realizzato il documentario Take My Grief Away: Voices from the War in Ukraine che conteneva una serie di testimonianze di civili ucraini, ma anche di disertori russi, materiali da cui è partita per realizzare Oltre la soglia del dolore (21 lettere, pp. 412, euro 19,50), un libro struggente e drammatico che raccoglie «24 voci ucraine e russe, per chi sa ascoltare»: persone sopravvissute alla morte di tutti i propri cari, agli stupri, al bombardamento della propria casa, al «trasferimento forzato» verso la Russia. Un testo che attraverso l’incontro e le storie di quanti hanno visto la guerra e la propaganda nel segno dell’odio che l’ha annunciata irrompere tragicamente nelle proprie vite, descrive nel modo più vero e drammatico quanto continua ad accadere nel cuore dell’Europa.
Ha scelto di lasciare il suo Paese nel 2014, dopo l’annessione della Crimea e l’ingresso dei militari russi in Donbass. Ma quando è iniziata l’invasione sul larga scala, ha percepito una nuova urgenza: cosa l’ha spinta verso un progetto così difficile e doloroso come questo libro?
Sono una giornalista e considero che il lavoro che ho scelto mi offra una possibilità – che è però allo stesso tempo anche una responsabilità: – vale a dire quella di documentare una vicenda, una storia, attraverso una serie di immagini che ho visto o di cui ho sentito parlare da parte di coloro che di tutto ciò sono stati testimoni diretti, che quegli eventi li hanno subiti in prima persona. Dobbiamo essere in grado di preservare la verità per le generazioni future, e di raccogliere prove sugli eventi orribili che stanno avvenendo.
Lei dà voce alle ferite, visibili e invisibili delle vittime della guerra, che si trovino tra i civili ucraini come tra i soldati russi che disertano. Quali difficoltà ha incontrato nel realizzare le interviste e vincere la ritrosia di alcuni interlocutori? E come si è sentita alla fine del «viaggio»?
Anche se questa è la domanda che mi viene posta più frequentemente, non ho una risposta precisa. In ogni caso, posso dire che realizzare questo libro è stato molto difficile, la cosa più difficile di tutta la mia esperienza professionale. Tuttavia, per me non è stato certo più arduo che per i miei «eroi», le persone di cui racconto le vicende nel libro. Non ho perso i miei cari, la mia casa, la mia patria. Perciò, certo, ho dovuto misurarmi anch’io psicologicamente con tutto ciò, ma non vedo il motivo di entrare nei dettagli, diciamo che sono riuscita ad affrontarlo.
Più d’una tra le persone che ha incontrato, specie tra i «russofoni» cui si è rivolta la propaganda di Mosca per giustificare l’invasione, ha sottolineato come l’ideologia della «Russkij mir» si sia tradotta in distruzione e morte o in un piano di annessione che ha reso i profughi del conflitto e gli abitanti delle zone occupate ostaggio di Mosca: è questo l’altro volto della guerra che emerge nel libro?
Assolutamente. Sono davvero convinta che la gente non volesse alcuna guerra. Le persone volevano e vogliono ancora adesso vivere in pace. E sulla propria terra. Nel senso più intimo e personale del termine: il loro giardino, orto, la loro casa. L’invasione, l’annessione, l’occupazione, gli omicidi di massa e le sofferenze sono un esempio di ciò che le ambizioni geopolitiche di un leader malsano possono produrre con la propaganda. Molte persone sono state coinvolte nella guerra attraverso l’inganno e la manipolazione. Però la sofferenza e la morte che questa guerra hanno portato sono reali.
Il Nobel per la Pace Dmitrij Muratov, già caporedattore della «Novaja Gazeta», nella presentazione al libro spiega i motivi per cui lei è stata dichiarata «nemica del popolo». Quando pensa che potrà tornare in Russia?
Davvero non lo so. Il libro è già stato pubblicato in russo (Meduza, 2023), ma sfortunatamente fuori dalla Russia. Conosco molte persone che vivono lì e che sono riuscite comunque a procurarselo e a leggerlo. E credo che nelle circostanze attuali, questo sia davvero un grande gesto. Perciò sono loro grata.
Le testimonianze che ha raccolto descrivono un mondo diviso in due dalla volontà di dominio di Putin: come accade anche alla sua famiglia, in molti tra coloro che ha incontrato hanno parenti e affetti sia in Ucraina che in Russia. Quali potranno essere le conseguenze per chi vede il proprio Paese fare la guerra a coloro che ama?
In realtà, il mondo mi appare molto più complesso che in una rappresentazione attraverso due facce. E anche questa guerra non ha due soli volti, ma molti, molti di più, perché è il risultato di manipolazioni politiche e intrighi complessi. Le persone si sono trasformate in «risorse» e strumenti di ricatto, alla stregua di quanto accade con il gas o il petrolio. Ora, sul piatto della bilancia, vengono messi il gas, il petrolio e gli esseri umani. E Putin usa queste persone (sia coloro che vivono in Russia che chi si trova nei territori ucraini occupati) come fosse il loro padrone. Come fosse un re. L’odio è la reazione più semplice alla violenza. Ma in tutto il libro (e in tutto il film che è anche alla base del libro), racconto dei miei incontri con persone che hanno sufficientemente cuore e ragione per non dividere il mondo in due. E per comprendere che solo la conoscenza della complessità del mondo e la capacità di discernere e rispettare questa complessità possono unirci. Come ha detto Tanya, una delle «eroine» del libro, non importa l’esito della guerra, rimarremo vicini, dobbiamo imparare a vivere fianco a fianco.
«Io non parteggio per nessuno, solo per la gente», le ha spiegato una giovane ucraina, Rita, che ha intervistato. Come fermare il massacro in corso e la sofferenza dei civili senza che l’invasione del 2022 si trasformi in una conquista territoriale e in un’affermazione dell’autoritarismo di Putin?
Penso che chi conosce la risposta a questa domanda meriti un premio per la pace. Davvero non lo so. Ma quel che so per certo è che non esiste una soluzione che possa espiare la memoria di decine di migliaia di vittime, lacrime, dolore, perdita di tutto ciò che è caro. Se l’Unione Sovietica rappresentava un matrimonio difficile e disfunzionale, in cui c’erano molti abusi e violenze, questo divorzio si è rivelato ancor più sanguinoso di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Naturalmente, se finirà il potere di Putin, anche la guerra finirà. Ma come curare un intero Paese? La stampa russa, che potrebbe parlare della follia di Putin, non è stata uccisa personalmente da lui. E, allo stesso modo, lui non ha scritto di suo pugno le denunce contro le persone che protestavano contro la guerra e altri crimini del regime. Ha derubato, violentato e ucciso civili, ma Putin non lo ha fatto personalmente. La mia patria è gravemente malata, mi spiace molto doverlo ammettere. Putin è la manifestazione esterna più visibile di questa malattia ma non l’unica.
Guardando al conflitto, pensa che l’offensiva ucraina a Kursk cambierà il corso della guerra? E, soprattutto, quale effetto avrà sulla popolazione russa, sulla sua percezione di quanto avvenuto dal febbraio del ’22?
Sono convinta che la sofferenza non può essere curata con la sofferenza di un altro. Essere sotto attacco non aiuta certo le persone a rendersi conto delle proprie colpe. Non credo che questo debba essere spiegato agli abitanti delle città italiane bombardate dagli Alleati negli anni 1943-45. Né agli abitanti di Dresda e Amburgo, le cui case sono state rase al suolo, i cui cari sono periti sotto i bombardamenti. Non si può sostenere che tali eventi tragici abbiano potuto davvero «rieducare» qualcuno. Rispondere all’omicidio con l’omicidio non ferma la spirale della violenza. Sembra però che non sia la sola a non avere la risposta, neanche i migliori pensatori dei nostri giorni sanno come fermare la guerra. Ma non è questa l’unica domanda che mi strugge, ce n’è un’altra forse ancor più importante: come prevenire l’emergere di un altro dittatore pronto a far scoppiare un’altra guerra pur di scrivere il proprio nome nella Storia? Penso che la risposta a questa domanda potrebbe veramente cambiare il corso degli eventi.
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