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Venezuela, arresti a centinaia. Il voto sempre fermo in tribunale

Venezuela, arresti a centinaia. Il voto sempre fermo in tribunaleCaracas, veglia per i prigionieri politici foto Ap/Pedro Rances Mattey

Americhe Proteste in Italia per i prigionieri. Brasile, Colombia e Messico cercano ancora mediazioni

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 10 agosto 2024

Più passano i giorni, più è arduo trovare una via di uscita alla crisi venezuelana. La soluzione, sembra certo, non verrà dall’indagine avviata dal Tribunale supremo di giustizia (Tsj) con l’obiettivo di stabilire la regolarità del processo di scrutinio. Non è stato nemmeno specificato in che modo procederà il tribunale: «Devo confessare la mia ignoranza, non capisco ancora cosa farà la giustizia», ha non a caso dichiarato il consigliere speciale di Lula per gli affari esteri Celso Amorim.

Alla convocazione del Tsj, comunque, il candidato dell’opposizione Edmundo González Urrutia non si è nemmeno presentato – ed è stato l’unico – giustificando la sua mancata partecipazione con l’assenza di un conteggio tempestivo dei voti basato sui verbali, oltre che con i rischi alla sua sicurezza.

Quanto alla pubblicazione degli atti, nulla ancora indica che avverrà, perlomeno in tempi utili a sciogliere i dubbi che di giorno in giorno diventano sempre più consistenti, anche da parte di diversi settori della sinistra latinoamericana, alcuni dei quali temono per Maduro addirittura un futuro “alla Ortega”, un governo dai marcati tratti autoritari che tuttavia potrà contare sul sostegno determinante di non pochi alleati, Cina e Russia su tutti.

Neppure contribuiscono alla credibilità del governo le denunce sugli arresti degli oppositori: gli ultimi di cui si è avuta notizia sono quelli del deputato Williams Davila, poche ore dopo aver rilasciato un’intervista all’agenzia italiana Adnkronos, e dell’ex deputato Américo De Grazia, italo-venezuelano come anche Rita Capriti, arrestata nella notte del 2 agosto con l’accusa di “istigazione all’odio”. Lo stesso reato alla base della sospensione per 10 giorni del social network X e degli attacchi a WhatsApp, che Maduro ha invitato a sostituire con Telegram e WeChat.

E se dall’Italia il ministro degli esteri Tajani chiede a gran voce «la liberazione dei dissidenti politici», un invito a intercedere per il rilascio degli oltre mille manifestanti arrestati, dei quali, secondo la ong Foro Penal, un centinaio sarebbero adolescenti, è stato rivolto ai governi di Brasile, Colombia e Messico da un gruppo di ex militanti del Psuv, ex esponenti di governo come l’ex ministro della comunicazione Chávez Andrés Izarra e rappresentanti politici come l’ex sindaco di Caracas Juan Barreto, tutti fiduciosi riguardo al ruolo che potranno giocare i tre governi progressisti.

E in effetti molti occhi sono puntati su Lula, Petro e López Obrador, i quali, in un nuovo comunicato congiunto, hanno ribadito la necessità di una «trasparente» divulgazione dei documenti elettorali da parte del Cne, invitando ancora una volta Maduro a permettere una verifica imparziale dei risultati ed esprimendo la propria disponibilità a favorire il dialogo tra governo e opposizione, «nel pieno rispetto della sovranità e della volontà del popolo venezuelano».

Qualunque cosa succederà, e malgrado le nuove denunce del Centro Carter, secondo cui Edmundo González avrebbe davvero vinto le presidenziali con più del 60% dei voti, è comunque assai improbabile che Brasile, Colombia e Messico possano riconoscere la vittoria dell’estrema destra: «Non mi fido dei verbali dell’opposizione», ha dichiarato significativamente Celso Amorim. È proprio questo del resto il principale punto a favore di Maduro: il totale discredito di una destra che ha gridato ai brogli contro ogni evidenza fin dall’avvento del chavismo e che è ricorsa a ogni mezzo possibile, dal golpe all’invocazione di un intervento militare straniero, pur di rovesciarlo.

Stavolta, però, gli interrogativi ci sono e hanno un peso. A cominciare dalla domanda sul perché, se l’opposizione ha pubblicato i verbali in suo possesso, il Psuv non abbia fatto altrettanto in difesa dei suoi risultati, considerando oltretutto che sarebbe facilissimo dimostrarne l’autenticità: ogni acta de escrutinio, infatti, presenta un codice, o hash, che può essere utilizzato per verificare l’integrità dei dati e che è unico per ogni verbale e non duplicabile.

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