Un po’ meno di un mese fa la Commissione Ue ha deferito la Polonia alla Corte di Giustizia europea per violazione del diritto comunitario da parte della Corte costituzionale polacca. Torniamo un attimo indietro per ricordare l’antefatto: nel dicembre del 2021 la Commissione aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti di Varsavia. Essa si riferiva a due sentenze emesse dalla Corte costituzionale polacca in cui alcune norme dei trattati dell’Ue venivano definite incompatibili con la Costituzione polacca e si contestava apertamente il primato del diritto europeo su quello nazionale.

L’episodio non è altro che un nuovo capitolo del braccio di ferro fra Varsavia e Bruxelles sulle questioni riguardanti lo Stato di diritto. Una disputa, quella sul rispetto dei principi fondamentali della democrazia, che vede ampiamente partecipe anche l’Ungheria di Viktor Orbán. I governi di entrambi i paesi respingono le accuse di violazione di tali principi e ritengono che non spetti ai vertici Ue stabilire se nei  membri dell’Unione venga rispettato o meno lo Stato di diritto. A loro avviso questa valutazione compete caso mai alle popolazioni interessate, fermo restando che le critiche interne in materia di Stato di diritto non sono beneaccette né in Ungheria né in Polonia. I loro esecutivi portano avanti un confronto/scontro con l’Ue su questo tema e su quello dei fondi comunitari bloccati per il problema di cui sopra.

Nel caso della Polonia, ad esempio, si parla di 35,4 miliardi di euro congelati per l’influenza che il governo di Varsavia esercita sui tribunali del paese. Governo presieduto da Mateusz Morawiecki del PiS (Diritto e Giustizia), partito di destra al potere dal 2015 che al Parlamento europeo siede a fianco a Fratelli d’Italia nel gruppo dei Conservatori e riformisti (Ecr).

Di fronte alle critiche mosse nei confronti di disposizioni quali quella che ha portato alla creazione di una camera disciplinare che si pronuncia sull’indipendenza dei giudici polacchi e ha facoltà di revocare loro, se necessario, l’immunità, il PiS parla di disposizioni necessarie. Concepite per la lotta alla corruzione e per rimuovere i giudici che esercitavano all’epoca del “socialismo reale”.

In queste riforme, però, sia Bruxelles sia gli spiriti antigovernativi vedono un attacco allo Stato di diritto. Alla luce di tali fatti i vertici Ue ritengono che la Corte costituzionale polacca non possa essere più ritenuta un tribunale indipendente e imparziale; per l’esecutivo, invece, non esiste un problema di questo tipo. Le autorità di Varsavia difendono il loro operato,  non accettano il principio del primato dei diritto europeo su quello nazionale e si muovono di conseguenza con iniziative che vanno in direzione contraria agli obblighi accettati con l’adesione all’Ue avvenuta nel 2004. Il ricordo del clima di festa del primo maggio di quell’anno per l’allargamento a Est è ormai molto lontano. C’è chi pensa che questo processo sia avvenuto in modo affrettato e con forzature che non avrebbero tardato a mostrare una serie di conseguenze. Forse è altrettanto lecito ritenere che all’epoca non sia stata data importanza a un processo di preparazione da parte dei vecchi membri a gestire le differenze di carattere culturale e di vissuto storico tra essi e i nuovi arrivati.

Oggi come oggi questi ultimi, e con particolari accenti la Polonia e l’Ungheria, contribuiscono, magari non proprio in modo costruttivo, a sottolineare contraddizioni e fragilità esistenti all’interno dell’Ue.

Forse si sarebbe dovuta dare maggiore importanza al sentore diffuso in questi paesi di entrare nell’Ue in qualità di parenti poveri destinati a essere visti dai membri di vecchia data come “nuovi acquisti di seconda categoria”. Queste dinamiche hanno contribuito alla voglia di rivincita della periferia sul centro dell’Unione di cui parlava la filosofa ungherese Ágnes Heller. Una voglia di rivincita che si accompagna a critiche e accuse formulate dai governi cosiddetti sovranisti dell’area di Visegrád nei confronti di Bruxelles. Come quella del ministro polacco della Giustizia Zbigniew Ziobro, noto per le sue posizioni antieuropee e antitedesche, secondo il quale il deferimento di Varsavia alla Corte di Giustizia dell’Ue è un “attacco pianificato allo stato polacco”. A suo avviso quanto è avvenuto rientra in un “piano tedesco” volto a indebolire sempre più le sovranità nazionali a favore di uno stato centralizzato provvisto di una capitale formale a Bruxelles e una effettiva a Berlino.

Insomma si va avanti così, con la Polonia e l’Ungheria che non hanno posizioni tali da agevolare un percorso di coesione europea e con l’Ue che procede in affanno portandosi appresso il peso delle sue contraddizioni.