Valle Giulia a più voci
1 marzo 1968 Questa «non è una ricerca di storia orale», ma il resoconto tratto da testimonianze dirette intervallato dai versi della canzone di Paolo Pietrangeli
1 marzo 1968 Questa «non è una ricerca di storia orale», ma il resoconto tratto da testimonianze dirette intervallato dai versi della canzone di Paolo Pietrangeli
Il 1 marzo di cinquanta anni fa gli «storici» scontri davanti alla facoltà di Architettura di Roma. Anticipimo il racconto che uscirà, completo, con la ristampa del fascicolo sul «’68» il 7 marzo
Questa non è una ricerca di storia orale su «Valle Giulia»: le fonti sono poche e un po’ casuali, il raffronto con gli archivi e le fonti a stampa è tutto da fare. È un racconto fatto intrecciando la soggettività di oggi e quella ricostruita di allora, con alcune persone che c’erano (e usando la scansione di una memoria orale e codificata del movimento, la canzone «Valle Giulia» scritta allora da Paolo Pietrangeli).
Massimo Pieri era studente a fisica, Raul Mordenti a filosofia, Lucio Castellano faceva il liceo al «Tasso». Roberto Rizonico era anche lui liceale, al Castelnuovo, Roberto De Angelis stava laureandosi in sociologia; «Maria Rossi» è lo pseudonimo di una matricola di allora.
Venivano da esperienze diverse: De Angelis e Rizonico avevano esperienze nel Pci; «Rossi» arriva adesso alla politica; Mordenti era stato, fino all’assassinio di Paolo Rossi due anni prima, «un moroteo di base».
Piazza di Spagna splendida giornata/ traffico fermo, la città ingorgata …
«Io e i compagni di fisica ci siamo ritrovati davanti a Babington, a piazza di Spagna, la mattina del primo marzo. Non si era molti quella mattina, ma bisogna tener conto che l’appuntamento generale era direttamente a Valle Giulia, davanti alla facoltà» (Pieri).
«Oggi direi non un corteo immenso. Allora era certo il più grosso che avessimo mai fatto. Quindi diciamo diecimila, cinque o diecimila; un corteo poi che cresceva marciando. C’era il sole, la gente aveva molta simpatia, guardava ‘sto corteo, poi, credo senza ostilità, con curiosità» (Mordenti).
COME SEMPRE, i racconti delle realtà collettive divergono fra loro: soggetti diversi vanno in piazza con idee, informazioni, obiettivi diversi. Soprattutto, è la misura degli stati d’animo che varia a seconda delle storie personali; e ognuno proietta il proprio sullo stato d’animo del corteo.
Dal liceo Tasso, scuola politicizzata e democratica «un fiore nel deserto del panorama delle scuole medie romane, ma eravamo anche preoccupati che, arrivati al dunque, il grosso degli studenti non ci seguisse» (Lucio Castellano), arriva una delegazione, il comitato di agitazione allargato, col permesso del preside (…).
Roberto De Angelis sta facendo la tesi sui giovani marginali romani, e ha dato appuntamento a piazza di Spagna a due giovanissimi e ignari «capelloni»: «Sapevo della manifestazione e pensai di portarmeli dietro. Stavo marginalmente al corteo perché avevo la preoccupazione di rapportarmi a questi due ragazzi» (…)
«Devo dire che io rispetto agli obiettivi del corteo non ero informatissimo; sapevo che bisognava andare lì, protestare, che c’erano questi compagni dentro la facoltà che erano in qualche maniera assediati…», ricorda Roberto Rizonico.
No alla scuola dei padroni/ via il governo, dimissioni…
(…) «Il corteo era abbastanza festoso, tranquillo, ricordo questo viale che saliva verso la facoltà…» (Roberto Rizonico).
«Formiamo dei cordoni tenendoci sottobraccio, chiacchieriamo distesamente. Nessuno era preoccupato, nessuno pensava agli scontri» (Castellano).
«Il corteo era un corteo di movimento, bello, ancora con ‘potere studentesco’… Un corteo con slogan, diciamo quelli dell’occupazione, della prima occupazione. Quindi dicevamo ‘potere studentesco’…» (Mordenti).
E mi guardavi tu con occhi stanchi/ mentre stavamo ancora lì davanti/ ma se i sorrisi tuoi sembravan spenti/ c’erano cose certo più importanti…
«Secondo me il ’68 è tutto in questa frase. La politica, è un rapporto affettivo. Quindi è molto stupida la linea di dire, ah, questi hanno messo al primo posto la politica… Stava là la tua affettività. Cioé, l’idea dell’affettività di gruppo – prima non si usava. Ciascuno al massimo aveva un amico solo; e dello stesso sesso. Nel corteo, io stavo con l’amico mio, con cui ho fatto tutte le campagne…» (Mordenti).
«IN QUEL PERIODO le manifestazioni erano tutte molto nervose, tese»: forse ‘Maria Rossi’ rovescia su questo corteo che ad altri pare ’festoso’ la tensione propria di debuttante in piazza, in trasgressione rispetto al proprio ceto. «Però», continua, «nessuno pensava, almeno del gruppo vicino a me, che saremmo andati a fare una vera e propria battaglia». (…).
Undici e un quarto avanti a Architettura/ non c’era ancor ragione di aver paura/ ed eravamo veramente in tanti/ e i poliziotti in faccia agli studenti…
«A via Gramsci, vicino ad architettura, vediamo la polizia e i carabinieri: più numerosi del previsto, e agguerriti, compatti» (Pieri)
«Erano pochi e non troppo bellicosi. Anzi, la cosa che più mi colpì è che erano vecchi, o almeno così mi ricordo. Vecchi e pochi, rilassati pure loro. Noi avanzammo verso l’ingresso della facoltà come fosse la cosa più naturale del mondo. E quelli caricarono, all’improvviso» (Castellano).
Hanno impugnato i manganelli/ ed han picchiato come fanno sempre loro…/
IL TERRENO DI VALLE GIULIA diventa il protagonista dei racconti: i prati su cui fuggiaschi ed inseguitori si rincorrono scambiandosi i ruoli, le scale su cui gli studenti si rifugiano irraggiungibili dalle camionette, i recinti delle accademie britannica e giapponese che si trasformano in rifugi accoglienti, la rotonda su cui le camionette ruotano all’impazzata terrificanti e impotenti.
E all’improvviso è poi successo/ un fatto nuovo, un fatto nuovo/ un fatto nuovo: non siam scappati più/ non siam scappati più …
«Io scappai sui prati… Ecco, questo fu fondamentale, voglio dire la configurazione del terreno, la sua dispersione e irregolarità. Anche i poliziotti furono costretti a spargersi sui prati, le cariche non avevano compattezza, i due schieramenti si confondevano, si mischiavano» (Castellano).
Rizonico, rifugiato dietro la rete del centro giapponese, guarda la scena, osservatore non subito partecipante: «Da questa posizione privilegiata, perché facevo parte del casino ma stavo tranquillo dietro la rete, ho guardato le prime scaramucce. Mi sembrava una cosa molto strana, all’inizio presa come uno spettacolo, anche perché non mi sembrava molto violenta; richiamava un pò un gioco».
A De Angelis vengono in mente i film di John Ford, col nitido schieramento delle forze in campo, a Castellano «una partita di rugby al rallentatore»: «nel ’68 a Valle Giulia, precipitano tutti questi elementi scenografici, e fermano l’immaginario; era una situazione in cui rimano una possibilità di esprimere antagonismo in una maniera, diciamo pure, abbastanza leale» (De Angelis). È un evento sportivo (di qui il tema che ricorre, dei poliziotti vecchi, «poco allenati», lenti), spettacolare, anche ludico, persino con una dose di fair play. (…)
«CIOÉ LORO ERANO veramente delle pippe – erano buffi, erano brutti… Capisci? Loro non si aspettavano, non si aspettavano il terreno, non si aspettavano il tipo di scontro… E’ vero però che la polizia fa presto ad adeguarsi, questa è l’altra lezione; cioé basta fa’ una leva di poliziotti più allenati, basta inventare il blindato… Li io mi ricordo solo una grande allegria; mi ricordo solo il contrattacco» (Mordenti). Era la dinamica di una guerriglia, piccolissima certo, senza niente di particolarmente drammatico e violento, però era una battaglia. Nessuno se ne andava. Tornavano indietro e continuavano ad andare all’assalto e non s’era mai visto dei manifestanti dispersi che rimangono sul posto, si riunificano e vanno di nuovo contro la polizia. Era questo l’elemento che colpiva tutti noi; anche perché nessuno l’aveva organizzato, né predeterminato, né voluto.
E caricava giù la polizia/ ma gli studenti la cacciavan via…
(RIZONICO). MI È SEMBRATO un momento unico per questa capacità e voglia di non scappare. Pure io, che stavo dall’altra parte della rete, mi sono sentito in dovere di andare di là e partecipare a questa cosa. Sul momento, ho visto questa polizia che si arrendeva e mi è sembrato come l’avverarsi di un sogno. L’unico fatto era che era come se a un certo punto avessi trovato la forza di non correre, di non scappare.
«Poi è arrivato un pulmino o una jeep dei carabinieri. Si sono fermati, e immediatamente sono stati presi a sassate da tutte le parti. E questi, dentro una macchina, con quel vetro che si è pure rotto, sono stati presi dal panico, sono scesi e sono scappati verso gli altri poliziotti. La macchina senza freno a mano, piano piano se n’è andata giù e si è rovesciata o andata contro un albero, e qualcuno ha tentato di incendiarla» (Rezonico).
«La camionetta è stata abbandonata e una volta abbandonata è stata incendiata. Questa è la camionetta in fiamme di Valle Giulia che si vede sempre nelle foto, nei filmati. (Mordenti).
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