Visioni

«Un film comme les autres», filmare la memoria della rivoluzione

«Un film comme les autres», filmare la memoria della rivoluzioneUna scena da «Un film comme les autres»

Tv In prima visione a «Fuori orario», il potente film di Godard sul senso del cinema politico. L’«archivio» del Sessantotto, l’utopia, i fallimenti

Pubblicato più di un anno faEdizione del 19 luglio 2023

Un film non come gli altri. Oltre e dopo la Nouvelle Vague è il titolo delle due notti di Fuori orario – Raitre, venerdì 21 luglio (0.50-0.06) e sabato 22 (1.55-06.30) – da cui lasciarsi cullare nel week end di Caronte, il più caldo dell’estate. La programmazione – curata da Fulvio Baglivi e Roberto Turgliatto – si snoda tra il Mario Schifano di Umano non umano (1969) magnifico ritratto d’artista attraverso una serie di «quadri» in movimento della Roma intellettuale alla fine degli anni Sessanta, in cui incontriamo Adriano Aprà, Alberto Moravia, Sandro Penna, Carmelo Bene, Mick Jagger e Keith Riocards che lo hanno prodotto; Cancer di Glauber Rocha (1968-1972), girato in quattro giorni, montato quattro anni dopo per la Rai Programmi speciali; Strategia del ragno (1970) di Bernardo Bertolucci, ispirato al racconto di Borges Tema del traditore e dell’eroe, e definito dal suo autore «il sogno di un film, il cinema verità della memoria»; Nel nome del padre, versione director’s cut del 2011, che Aprà definisce «il film più caotico di Bellocchio, di una bellezza visiva che ne compensa il dolore lacerante», attraversato dal vissuto del suo autore nella storia del giovane allievo ribelle che arriva nell’oppressivo collegio di preti nel anni cinquanta; L’inchiesta di Gianni Amico (1971).

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A dare il titolo alle due puntate è un gioco di parole col film che le apre: Un film comme les autres di Jean Luc Godard, definito da Straub e Huiller – come si legge nelle note di presentazione – «uno dei migliori film di Godard». Girato nel luglio del 1968, dopo l’uscita nel dicembre del 1967 di Week end, fa parte di quei film che affermano una cesura nel fare cinema del regista scomparso lo scorso settembre, che passa dal successo a scelte radicalmente opposte, con l’esperienza poi del gruppo Dziga Vertov, nel confronto con la realtà, il sessantotto, il suo tempo che nelle fratture e nelle sconfitte capovolgeva gli immaginari più sensibili. Un film comme les autres (in prima visione tv) è appunto girato dopo il maggio francese su un prato assolato tra gli edifici della periferia di Flins-sur-Seine, non lontano dalla fabbrica Renault, quaranta kilometri da Parigi. Protagonisti sono cinque militanti, tre studenti di Vincennes e due operai di Flins, filmati in 16 millimetri mai per intero, solo frammenti di mani, sigarette accese una dopo l’altra, capelli, jeans tra colore (loro che parlano) e bianco e nero (la luce è di William Lubtschasky).

Studenti e operai dunque, un dialogo di classe mentre scorrono le immagini di scontri fra movimento e polizia nelle strade francesi, macchine bruciate, l’occupazione delle fabbriche. «Sono studente, sono un privilegiato» dice la voce di qualcuno che partecipa alla conversazione, una frase così pertinente nel dirci ancora il funzionamento del capitalismo che genialmente abbatte le differenze di classe trascinando verso il «basso» i corpi a lui estranei, come in quel dopo quando la rivoluzione è già finita (forse fallita) e appare coi suoi sogni e le sue possibili utopie ormai lontana.

GORIN, col quale Godard condivise in parte l’esperienza Dziga Vertov diceva che Un film comme les autres è il loro lavoro «più simile a un documentario». C’è in questa scommessa di Godard rispetto al tempo – il suo, quello collettivo – una assoluta attualità a cominciare dalla riflessione sul senso del «cinema politico», cosa significava allora e cosa significa nell’era della proliferazione mediatica, utilizzando l’elemento di documentazione della realtà in modo straniante, con la voce off che obbliga a pensare diversi significati possibili alle immagini della lotta. In cui l’archivio, il cosiddetto «repertorio» nella relazione temporale stabilita dal film è come se fosse già memoria, permettendo un duplice piano del racconto, una distanza dell’analisi che non è mai emozione del momento, tempo vissuto e tempo storico assieme.

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