Una spiegazione per Orbán
Visegrad e oltre La rubrica settimanale sui sovranismi dell'Est Europa. A cura di Massimo Congiu
Visegrad e oltre La rubrica settimanale sui sovranismi dell'Est Europa. A cura di Massimo Congiu
Torniamo un attimo al 14 settembre scorso, quando la prima ministra Giorgia Meloni è intervenuta al Budapest Demographic Summit, un incontro svoltosi nella capitale ungherese e fortemente voluto dal premier Viktor Orbán. In esso la Meloni ha lodato il governo danubiano per essere riuscito ad arrestare il calo demografico di cui il paese soffre da tempo e a far crescere l’occupazione: sia quella maschile che quella femminile. Va detto che diversi analisti obiettano sulla concretezza o, per lo meno, sulla stabilità di queste soluzioni, ma evidentemente tali riserve valgono poco o nulla, o magari sono solo una presa di posizione per i cosiddetti sovranisti, magari anche per la Meloni che in coro con Pillon elogia il “modello ungherese”.
Sarà meglio precisare che a non pochi connazionali di Orbán, quelli che non si riconoscono nelle politiche del governo arancione, verranno i brividi a sentir parlare di “modello ungherese”, ossia di una prassi che loro rifiutano commentando le iniziative dell’attuale sistema di potere con un “non a mio nome!”. In altre parole, l’Ungheria è un paese profondamente diviso, lo era da prima che Viktor tornasse al potere, fatto avvenuto nel 2010, lo è a maggior ragione ora. La propaganda dell’esecutivo entra dappertutto: nelle case, nelle scuole, nei posti di lavoro. Da tempo essa tiene ben ferma una netta distinzione tra i veri ungheresi (coloro i quali appoggiano il governo o per lo meno non lo ostacolano) e i traditori della patria.
Di questo parla Una spiegazione per tutto (Magyárazat mindenre) del regista Gábor Reisz. Il film che, quest’anno, con la traduzione italiana dei dialoghi di Mariarosaria Sciglitano, ha ottenuto il primo premio a Venezia nella sezione Orizzonti.
L’opera apre una finestra eloquente sulla situazione in cui si trova questo paese già diviso per una serie di motivi storici e ora letteralmente spaccato in due tra chi è a favore e chi è contro; fra chi, secondo la retorica governativa, ha a cuore gli interessi nazionali e quindi il destino della patria, e chi invece ha sposato la causa del liberalismo cosmopolita che vorrebbe privare lo stato danubiano (e non solo esso) della sua identità rendendolo così più vulnerabile.
Nel film un maturando poco studioso va male all’esame di storia, fin qui niente di eccezionale, ma ne nasce un caso perché il ragazzo si presenta alla prova orale con la coccarda tricolore appuntata sulla giacca, solo per dimenticanza: quella che molti suoi connazionali portano ogni 15 marzo, festa nazionale che ricorda le lotte risorgimentali ungheresi. Per il regime quella coccarda è un segno distintivo di attaccamento alla patria che va portato oltre la ricorrenza in questione; per i suoi avversari, invece, più che un simbolo nazionale è ormai segno di adesione alla linea governativa, soprattutto se portato anche dopo il 15 marzo. Si verifica così un caso nato da una distrazione poi strumentalizzata, montato con maestria dalla stampa scritta e televisiva con tanto di interviste fatte per strada, nel centro della capitale, per chiedere il parere della gente. In esse si tirano in ballo questioni patriottiche, l’attaccamento alla madrepatria, emerge la riprovazione verso coloro i quali vorrebbero inibire l’espressione di questi sentimenti “sani”.
Di fatto c’è un ragazzo poco amante dello studio che all’esame fa scena muta, il professore di storia gli chiede il motivo della coccarda ancora appuntata sulla giacca, ed ecco gli ingredienti del dissidio. Ne consegue una reazione a catena, seguita a livello nazionale, che interpreta la bocciatura in storia del ragazzo come rappresaglia per la coccarda tricolore. Come materia d’esame viene scelta non a caso la storia che è oggetto, in Ungheria, specie quella nazionale, di grande strumentalizzazione da parte del potere e che, per questo, contribuisce alle divisioni di cui sopra.
La vicenda raccontata nel film si ispira alla situazione in cui il paese si trova oggi nella realtà; risultato, anche questo, del “modello ungherese” così tanto decantato dalla Meloni e da chi la pensa come lei. Tutto questo tifo sovranista parla di politiche familiari efficaci concepite dal governo Orbán ma non sa o fa finta di non sapere e di non vedere che cospicui strati della popolazione ungherese vivono in condizioni precarie. Per il resto, il paese è sottoposta a una propaganda tossica che descrive una patria in costante pericolo, minacciata dall’esterno e da quegli ungheresi che le hanno voltato le spalle, con tanto di paura e ostilità ispirate dal governo nei confronti di chi è diverso.
Non male come modello.
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