Sulla richiesta ungherese di revoca dell’immunità parlamentare di Ilaria Salis
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Sulla richiesta ungherese di revoca dell’immunità parlamentare di Ilaria Salis

Visegrad e oltre La rubrica settimanale sui sovranisimi dell'est Europa. A cura di Massimo Congiu
Pubblicato un giorno faEdizione del 27 ottobre 2024

Liberando, malvolentieri, Ilaria Salis le autorità ungheresi avevano fatto sapere che non sarebbe finita lì. Che a un bel momento avrebbero chiesto la revoca dell’immunità parlamentare. Così è stato: nei giorni scorsi la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha confermato di aver ricevuto la richiesta di Budapest. Richiesta che dall’eurodeputata di AVS è stata definita una ritorsione per le critiche da lei rivolte al sistema del primo ministro ungherese Viktor Orbán.

Di recente, in un suo intervento all’Europarlamento, Salis aveva detto che “le democrazie europee devono essere coerenti e solide, e rifiutarsi di collaborare con il regime oppressivo e autoritario di Orbán”. Per quest’ultimo una “picchiatrice” come Salis non può permettersi di parlare di Stato di diritto. Eloquente anche la reazione del segretario di Stato per le comunicazioni e le relazioni internazionali dell’Ungheria, Zoltán Kovács, a parere del quale, il fatto che Ilaria Salis si “comporti come una sorta di vittima non è solo sconcertante ma anche assolutamente disgustoso”. E ancora, sempre Kovács, con foga giustizialista, riferendosi direttamente all’eurodeputata: “non sei stata arrestata per le tue opinioni politiche, sei stata arrestata e processata per casi di aggressione a mano armata contro innocenti. Tutta questa farsa è uno scherzo, tu non sei democratica e non sei una martire. Sei una delinquente comune”.

Tutto questo è perfettamente in linea con una logica che ha voluto imporre alla Salis una carcerazione preventiva lunga e inaccettabile; in realtà una condanna in assenza di prove concrete, decisa in spregio del principio di presunzione di innocenza che è segno di civiltà. Certo, prima o poi sarebbe arrivata la richiesta in oggetto, era solo questione di tempo, ma le critiche rivolte da Salis all’”uomo forte d’Ungheria” hanno evidentemente infastidito il premier ed i suoi; tutti esponenti di un sistema accusato da Bruxelles di portare avanti politiche che violano lo Stato di diritto. Per Orbán né i vertici dell’Unione né nessun altro hanno titolo a valutare la salute dello Stato di diritto in Ungheria, solo i suoi connazionali possono. Apatici a parte, e non sono pochi, quelli che credono nell’operato del governo arancione non hanno dubbi che non ci siano problemi di violazione dello Stato di diritto nel paese; la pensano in modo diametralmente opposto coloro i quali non si riconoscono nell’azione politica ispirata dal primo ministro.

Probabilmente, secondo Orbán, neanche questi ultimi hanno il diritto di esprimere questi giudizi in quanto guadagnati alla causa di forze di sinistra e liberali che non conoscono interessi nazionali. Tutta gente che, secondo la retorica governativa coltiva sentimenti antipatriottici, antiungheresi. È chiaro che per il premier e per i suoi possono parlare di tutela dello Stato di diritto in Ungheria, solo gli ungheresi che la pensano come loro. Le immagini di Ilaria Salis condotta e tenuta in tribunale in catene ai polsi e alle caviglie non sono esattamente quelle di un sistema di cose e di valori rispettoso dei diritti umani. Sono caso mai specchio di una concezione della giustizia votata all’afflizione, alla violazione della dignità umana, alla punizione fine a sé stessa. Una giustizia che è tutto fuorché elemento di ricomposizione sociale. Per cui la domanda da rivolgere al premier ungherese è ai suoi è “voi cosa intendete precisamente per Stato di diritto?”, perché è netta la sensazione che non stiamo parlando della stessa cosa.

A questo punto, tornando al caso che è l’oggetto di questo articolo, sarà l’Europarlamento a doversi esprimere. La richiesta di Budapest deve passare al vaglio della Commissione giuridica del Parlamento che potrebbe anche richiedere l’audizione della Salis per potersi esprimere con un parere motivato. Il documento della Commissione dovrà poi essere oggetto di votazione al Parlamento europeo. La maggioranza necessaria per la revoca dell’immunità è del 50%+1. L’eurodeputata non potrà votare; questo per evitare il conflitto d’interessi.

L’auspicio è che prevalgano le ragioni dello Stato di diritto, non quello legato a colori politici o all’uomo forte di turno.

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