Meloni ritrova l’amico Orbán, alleanza nel nome di Dio
Viaggio in Ungheria Al convegno a Budapest sulla natalità la premier rispolvera la verve sovranista
Viaggio in Ungheria Al convegno a Budapest sulla natalità la premier rispolvera la verve sovranista
C’è sempre da preoccuparsi quando i leader politici affermano di stare combattendo per difendere Dio. A Budapest, casa del padre del sovranismo europeo Orbán, per il Forum demografico, Giorgia Meloni invece non ci pensa su due volte e promette «lotta dura» appunto per difendere «l’identità delle famiglie, Dio e tutte le cose che hanno costruito la nostra civiltà». Difesa, sì, perché «tutto ciò che ci definisce è sotto attacco e questo è un pericolo per la nostra identità nazionale, per la famiglia, per la nostra religione». Quando Meloni parla di famiglia, va da sé, intende solo quella tradizionale. Il Dio che difende è quello cristiano e anche se la premier non lo dice a chiare lettere nell’elenco dei princìpi «da difendere» c’è anche la purezza etnica. Non lo esplicita ma lo fa capire.
QUELLA DELLA NATALITÀ in calo non è «una delle tante questioni della nostra nazione», dice, è il problema per eccellenza e non si può pensare di risolverlo con l’immigrazione. Una «quota di immigrazione legale può dare un contributo positivo all’economia» ma quando si passa alle nascite serve «il coraggio di dire che le proiezioni del futuro sono molto preoccupanti». Osanna dunque per l’Ungheria, «esempio perfetto di come le cose possono cambiare con la volontà e il coraggio di prendere provvedimenti necessari».
SEMBRA DI SENTIRE la scalmanata che dai palchi di Vox in Spagna strillava «Yo soy Giorgia, ecc…». In effetti è ormai noto che di Giorgie Meloni ce ne sono due, una per l’Italia e per Bruxelles, responsabile e mediatrice, l’altra per i comizi all’estero. Stavolta però non c’è in ballo solo la foga dell’oratrice cresciuta nella politica della strada e delle sezioni di partito.
Nell’ultimo anno la premier, pur senza mai prendere le distanze dall’ungherese, aveva raffreddato e rarefatto i rapporti, prendendo distanze sempre maggiori dalla sua retorica sovranista. Del resto i due governi di destra erano divisi su questioni determinanti come la guerra in Ucraina e il Patto europeo per l’immigrazione, voluto e sostenuto dall’Italia ma bestia nera dell’Ungheria, come della Polonia, per la penalizzazione pecunaria di chi non accetta i ricollocamenti.
IL COMUNICATO DIRAMATO alla fine del colloquio tra i due capi di governo, però, serve proprio a minimizzare quelle lacerazioni e anzi a presentarle come già ricucite. I due infatti «condannano l’aggressione russa e auspicano una pace giusta», confermando la necessità di «un sostegno ampio e multidimensionale all’Ucraina». È probabile che l’idea di pace giusta dei due non sia precisamente la stessa, ma la cosa è al momento secondaria. Sull’immigrazione il comunicato sottolinea «la necessità di agire con rapidità e determinazione», perché la migrazione «è una sfida europea che richiede una risposta collettiva». Come se non avessero mai votato in modo opposto proprio su questo tema. Non si è trattato insomma di una gita ma di una ripresa forte dell’alleanza.
LA PRESA DI DISTANZA da Viktor Orbán era una delle tante mosse attraverso le quali si era dipanata la strategia meloniana di appeasement con l’Europa. Oggi a essere sotto scacco è però precisamente quella strategia. La Lega spara a zero sul fronte dell’immigrazione in parte perché è quello il terreno ideale per la campagna elettorale di un Salvini che vuol presentarsi come campione della vera e rigida destra. Ma l’obiettivo non è solo farsi un po’ di propaganda facile a scapito della leader in difficoltà. Nel mirino della Lega c’è l’intera politica europea della premier, quella che sta letteralmente franando in questi giorni.
I giornali francesi assicurano che il rischio di un cambio di maggioranza a Strasburgo, con la nascita di una coalizione tra popolari, conservatori e liberali, non è ancora fugato. Lo fanno però probabilmente, almeno in buona parte, in funzione anti LePen. L’eventualità in effetti c’è: però è passata da opzione altamente probabile a possibilità molto remota. Dunque la Lega incalza, con l’obiettivo di riprendere il controllo di una destra non più tentata dalla pacificazione con Bruxelles e Francoforte. E per quanto la premier provi a resistere la forza delle cose la spinge invece obtorto collo precisamente in quella direzione.
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