Trump, Orbán e tutto quel che ne consegue
Come nel 2016, per Viktor Orbán, la vittoria di Trump è una soddisfazione. Una conferma del fatto che lui, l’”uomo forte d’Ungheria” ha visto giusto, lui che ha indicato a tutti la strada da seguire per un’Europa più sicura, un mondo più sicuro. Ora, come allora, a suo avviso, i fatti gli danno ragione.
Con Trump, secondo Orbán, ha vinto il superamento delle inadeguate posizioni liberali, di quelle di sinistra; ha vinto il superamento del “politically correct” con le sue ipocrisie, con l’inganno che opera ai danni della gente. Il premier ungherese, insomma, è soddisfatto come lo sono tutti i cosiddetti “sovranisti”, tutti i nemici degli immigrati in quanto tali; quelli degli slogan tipo “l’Ungheria agli ungheresi, l’Europa agli europei”, poco importa se si tratta di paesi i cui cittadini, pure, tendono a emigrare e/o che sono discendenti di generazioni di emigranti. Di fatto, come sappiamo, la memoria corta è uno dei mali più difficili da curare.
Orbán e quelli come lui, quindi, sono contenti e si sentiranno spalleggiati da chi considerano il tycoon uno dei loro, tanto più se si tratta del presidente di una superpotenza come quella a stelle e strisce. Uno che, è noto, ha un concetto un tantino strano della democrazia. Un po’ come il primo ministro ungherese. Tra l’altro quest’ultimo, di recente, ha ottenuto il benestare del Parlamento per allungare di altri sei mesi la possibilità di governare per decreto. Tutto questo a causa del prolungamento dello stato di emergenza, dovuto alla guerra in Ucraina, fino a maggio dell’anno prossimo.
Possiamo immaginare quanto questa decisione faccia felice Bruxelles che da tempo punta il dito contro l’eccessiva centralizzazione del potere nelle mani del leader danubiano. Sappiamo che questa situazione è all’origine delle lunghe tensioni esistenti tra Budapest e Bruxelles e delle decisioni prese da quest’ultima in termini di congelamento dei fondi spettanti all’Ungheria. La questione di fondo, in questo caso, è il mancato rispetto dello Stato di diritto attribuito alle disposizioni del governo danubiano.
È vero che in tutte le democrazie esiste la possibilità che il primo ministro legiferi per decreto, ma questo è previsto in momenti critici; ora il punto è che a Bruxelles e dintorni, ma anche dalle parti dell’opposizione ungherese, si ritiene che Orbán stia facendo abuso di questa facoltà per accrescere il suo già considerevole potere e concentrarlo nelle sue mani. Questo è già successo nel 2016 per via dell’emergenza migranti e, più di recente nel 2020, a causa della pandemia di Covid-19. Fu in quest’ultima circostanza che diversi giornalisti ungheresi, non esattamente vicini al sistema, sentirono ancora più in pericolo la loro situazione e quella della stampa in quanto erano state minacciate pene severe per chiunque avesse diffuso informazioni ritenute false o comunque non corrette sullo stato del contagio e sulla sua gestione da parte delle autorità.
Nel caso di Orbán, si diceva, il governo per decreto è qualcosa di indigesto agli occhi dei vertici Ue; diverse ONG, poi, sono dell’avviso che le leggi sullo stato di emergenza abbiano poco o nulla a che vedere con la guerra in Ucraina e che siano state concepite e approvate per depotenziare, tra l’altro, il ruolo di organi che dovrebbero svolgere compiti di controllo nei confronti del governo.
Tornando al braccio di ferro fra Budapest e Bruxelles, sarà interessante sottolineare che Olivér Várhelyi non ha convinto, per il momento, gli eurodeputati in occasione dell’audizione al Parlamento europeo. In pratica è, al momento, il solo dei sedici commissari esaminati a non aver ottenuto l’approvazione immediata. Dovrà rispondere a ulteriori domande. Attraverso lui si è evidentemente deciso di colpire Orbán le cui posizioni criticate dai vertici Ue risultano ancora più sotto i riflettori da che l’Ungheria ha assunto la presidenza di turno dell’Unione. Inoltre, sono stati motivo di indignazione a Bruxelles i viaggi del premier ungherese a Mosca e in Georgia. Intanto è tutto pronto per il nuovo mandato di Trump che è l’effetto di una crisi di valori di cui probabilmente sono stati ignorati o non sufficientemente considerati i primi segni. D’altra parte non è parsa brillare per consistenza la parte antagonista.
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