Delle tante metafore che esprimono lo stato critico della politica italiana, quella del cosiddetto autunno caldo è forse la più longeva. Ci accompagna ormai da decenni, giunge come i saldi di fine stagione a chiudere l’estate, e a metterci davanti la durezza dei nodi strutturali del Paese, che sono sempre lì, drammaticamente irrisolti alla radice.

L’alternanza dei governi produce sul piano economico-sociale politiche che finiscono per somigliarsi, smentendo programmi e, soprattutto, facili promesse elettorali. Il contingente, la politica del giorno per giorno, s’impone da troppo tempo sulla strategia di fase, l’unica in grado di costruire risposte che siano all’altezza delle diverse crisi che si avvinghiano tra di loro, dal clima alla salute, dall’economia alle migrazioni. Manca lo sguardo lungo di una visione e un pensiero critico che sorregga l’agire politico. Lungo questa china l’autunno caldo finisce così per riguardare, oltre che l’Italia, il mondo intero; un grande, rischioso autunno del mondo e delle sue attuali classi dirigenti, politiche ed economiche, accomunate dall’incapacità di un discorso globale sul futuro.

Così è stato nei tre lunghi anni della pandemia; così continua ad essere nel corso di una guerra che in pieno tocca l’Europa e ne segna la crescente marginalità sul terreno della diplomazia e della costruzione dell’unico tavolo possibile per riprendere in mano le redini della Storia e dell’umana civiltà, quello della pace.

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L’autunno caldo italiano cui stiamo precipitando si presenta con la novità del primo governo, da almeno cinquant’anni a questa parte, fortemente orientato verso una destra dalle ricette ultraliberiste in economia, tardive rispetto ai suoi stessi fallimenti già sperimentati, e l’ambizione boriosa di costruire un’egemonia, del senso comune più che culturale, rivolta ad un passato, condannato dalla Storia e messo al bando dalla Costituzione, con cui non riesce e non intende fare una volta per tutte i conti. Se i mali del sistema economico e sociale italiano sono di antica data, va pur detto che nell’ultimo anno gli indicatori volgono al peggio.

La povertà crescente, privata di un sistema reale di protezione, diventa sempre più “strutturale”; redditi e lavoro pagano a distanza gli effetti della crisi del 2008, da cui non sono più risaliti; l’inflazione brucia il potere d’acquisto dei salari; la Legge di Bilancio alle porte manca di risorse serie per sanità e istruzione, per non dire dei contratti di lavoro nel settore pubblico.

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L’urgenza di una Sinistra per l’Italia si colloca qui, ed è tale da non concedere rinvii o incertezze. L’imminente autunno caldo, che tanto ha di antico, porta con sé questo di nuovo. O la Sinistra mette in campo le fondamenta, le radici, di una strada alternativa, nel Parlamento e nelle istituzioni, nelle lotte sociali, nei luoghi della cultura e del sapere, come in quelli del disagio e della sofferenza; oppure il rischio di consegnare alla destra, questa destra, il primato di una lunga stagione politica e di governo del Paese diventa elevato, se non certo. Questo rischio, in verità, è cresciuto nel tempo, non è affatto improvviso: ma ora, per la prima volta, può compiersi.

Per questo il recente appello di Fratoianni e Bonelli va accolto e sviluppato con intelligenza. A partire, certo, da quel terreno politico che configura il senso e il valore della democrazia in quanto tale, e cioè la necessità e la qualità dell’essere opposizione, di costruire battaglie comuni, di allargare il campo, di tessere alleanze, di imbastire giusti compromessi.

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Ma oggi questo non basta più, occorre mettere a tema l’urgenza di questo passaggio di fase. Oggi il nodo è quello di porre mano ad una nuova soggettività politica e culturale della Sinistra in Italia, insieme radicale e di governo, ben impiantata su quei valori di equità sociale e di libertà da cui storicamente è nata, declinati sull’orizzonte delle sfide dell’oggi, la pace e la cooperazione, i diritti universali, la conversione ecologica di una nuova economia, la qualità e la dignità del lavoro, nuovi stili di vita compatibili col rispetto e la tutela della natura.

Una soggettività che può nascere solo da un processo largo, partecipato, plurale. Senza più sommare partiti e partitini, senza classi dirigenti autoreferenziali. Questo è stato l’errore del passato, ripeterlo sarebbe la colpa del futuro.