Gli interventi di Michele Santoro e Luigi de Magistris richiamano la necessità storica, morale e politica di una “lista per la Pace” per le prossime elezioni europee. I due interventi condividono un aspetto cruciale, una base importante per la costruzione di un percorso comune. L’idea che “la Pace” non è una categoria dello spirito, ma – come ricorda spesso Emiliano Brancaccio su questo giornale – un obiettivo che chiama in causa le logiche di potenza, i meccanismi di accumulazione del capitale, i modelli di civiltà e le “grandi sfide” (ecologica, tecnologica, di legittimità, socio-economica) che il mondo sta affrontando.

Sfide di fronte alle quali l’Europa è muta, se non complice. Sfide, va sempre ricordato, di fronte alle quali le destre si stanno attrezzando per arrivare all’appuntamento pronte: con i più forti seduti dalla parte dei vincitori e i più deboli a pagarne i costi. Anche, e forse soprattutto, per questo una “lista per la Pace” non può e non deve essere separata dalle più ampie questioni politiche, economiche e sociali. La Pace è neutrale, ma non neutra. Il rischio, altrimenti, è di costruire una pace-tofu: un ingrediente che assorbe il sapore del cibo che ha vicino. Una pace priva di personalità, buona per tutte le stagioni. Come, effettivamente, sta accadendo nel dibattito pubblico, dove la Pace è un abito adatto a ogni taglia, anche se non soprattutto invocata da chi fa di tutto per allontanarla.

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Una connotazione politica di questo tipo include ma non coincide solo con il campo della sinistra. Lo include, perché i temi costitutivi sono storicamente propri di tale campo; non coincide, perché non sono solo temi di sinistra. Sono, cioè, temi-di-confine dotati di una certa plasticità, adattabili a diversi “mondi” (ma non a tutti…), che acquistano significati parzialmente diversi in relazione agli interlocutori, pur conservando un nocciolo duro condiviso. Inoltre, non può coincidere con una campo esclusivamente di sinistra perché la Pace non è monopolio di questo campo e perché tanto Michele Santoro che Luigi de Magistris hanno – per biografia politica e identità progettuale – un raggio non solo e non completamente coincidente con quello che, politicamente e storicamente, caratterizza la sinistra in questo Paese. Se la Pace è un tema-di-confine, potremmo dire, Santoro e de Magistris sono figure-di-confine, connettori potenziali tra campi.

Certo, questo lavoro di connessione richiede alcune condizioni di processo. Diventa vera forza politica aggregante solo se rispetta un metodo di lavoro. Anzitutto, una lista per la Pace non è e non può essere un nuovo partito: si deve configurare come “un’alleanza miope”, quindi un’alleanza che si impone di non progettare più in là delle europee. Un’alleanza “di scopo”, come la definisce il segretario di Rifondazione Comunista nel suo intervento, che, come Ulisse con l’ammaliante ma mortale canto delle sirene, disegna in anticipo i propri vincoli per raggiungere l’obiettivo, senza però morire nel farlo.

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Un’alleanza, poi, che si configura come una dialogo tra persone e organizzazioni che, pur piccole, hanno esigenze politiche. Organizzazioni nascenti che, come Unione Popolare, stanno cercando faticosamente di federare un campo frammentato e che soffre del monopolio della rappresentanza a sinistra del PD. Organizzazioni che, tra loro, si devono parlare e non devono avere solo relazioni indirette e “a raggiera”, connesse solo da un centro che, come il mazziere nel poker, distribuisce le carte a giocatori tra loro in competizione. Se, come ricorda sempre Acerbo, la lista per la Pace non può essere una mera sommatoria, da ciò vanno tratte alcune conseguenze logiche, prima che politiche.

La ricerca di una sintesi politica, infatti, passa solo da confronto acceso, informato, aperto e ragionevole che sottoponga scelte e alternative all’esplosione paritaria dei diversi punti di vista, interessi e priorità. Centralizzare senza un centro, senza un’organizzazione e in assenza di un ruolo formale legittimo, è davvero inutile e sbagliato. Inoltre, la ricerca della sintesi non deve fomentare divisioni e vivere di tatticismi (questi sì, dannosamente “miopi”). Ciò vale tanto per chi propone la lista per la Pace, quanto per le singole forze politiche che vi partecipano: pensare di correre e di salvarsi da soli è una pia illusione. Occorre un ritmo comune, non fughe in avanti o scambi bilaterali nel retroscena. Infine, il tempo di farlo è ora. Stare alla finestra o trascinare in avanti le decisioni importanti è un suicidio politico.

Sono, queste, le condizioni minime affinché l’obiettivo di una “lista per la Pace” non entri in tensione distruttiva con l’assenza della “pace in una lista”. Porsi obiettivi nobili senza essere capaci o pronti a fare un passo di lato, senza farsi tentare dalle fughe solitarie, senza essere pronti a mediazioni pragmatiche e ad “alleanze miopi”, sono contraddizioni che non ci si può permettere. Il tempo è poco e la posta in gioco è troppo alta.