L’agricoltura italiana avrebbe davvero bisogno di interventi per contenere gli effetti negativi del riscaldamento globale, come quelli votati ieri a Strasburgo che prendono il nome di Nature Restoration Law. I danni attesi nei prossimi anni, infatti, secondo le stime del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, possono arrivare a 30 miliardi di euro entro il 2050, per effetto della riduzione delle rese.

«Il danno, soprattutto alle produzioni pregiate, potrebbe inoltre portare ad una progressiva perdita di valore fondiario dei terreni agricoli» avverte il documento redatto dal ministero dell’Ambiente, eppure Coldiretti, Confagricoltura e l’Alleanza delle cooperative italiane sono state in prima fila contro il provvedimento. In un documento intitolato Confronto sulle priorità delle Cooperative Italiane in Europa, divulgato a fronte di un incontro con gli europarlamentari italiani che si è tenuto il 27 giugno scorso, i rappresentanti dell’Alleanza dedicano un paragrafo al tema sottolineando «l’esigenza di ripensare provvedimenti così divisivi».

Alla vigilia del voto il presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari Carlo Piccinini aveva bollato la proposta come «assolutamente irrealistica, poiché pensata e scritta in maniera slegata dalla realtà in cui gli agricoltori operano quotidianamente».

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Piccinini aveva attaccato l’Europa, pur dichiarandosi stanco di accusarla continuamente, «ma il punto è che la Commissione persevera nel voler mandare avanti proposte normative che rischiano di rendere quasi impossibile continuare a fare agricoltura in Europa, con la prospettiva di lasciare sempre più spazio a massicce produzioni provenienti dai paesi extra-Ue».

È lo spauracchio sovranista delle importazioni massicce che tanto piace anche a Coldiretti e Confagricoltura e che insistendo sono riuscite a far stralciare dal provvedimento che avrebbe limitato lo sfruttamento dei terreni agricoli: la previsione di interventi per realizzare elementi paesaggistici ad alta biodiversità su almeno il 10% della superficie agricola utilizzata.

Una decisione che per Confagricoltura avrebbe causato un danno da 6,5 miliardi di euro all’agro-alimentare italiano, mentre il presidente della Coldiretti Ettore Prandini plaude a una scelta che avrebbe scongiurato «una pesante riduzione del potenziale produttivo, con un conseguente e significativo aumento delle importazioni di prodotti dannosi per il consumatore e per l’ambiente da Paesi terzi».

Resta in piedi invece la protesta dei pescatori, convocata da Coldiretti per domani a San Benedetto del Tronto (Ap): «Contro le nuove politiche della Ue che vogliono vietare la pesca a strascico e tagliare le aree di pesca, favorendo le importazioni dall’estero, scatta la rivolta della flotta italiana che vede a rischio la propria esistenza, sacrificata sull’altare di scelte ideologiche sconnesse dalla realtà» spiega un comunicato Coldiretti, che ha ormai assunto il linguaggio delle destre, accusando di ideologia ogni misura che tutelerebbe l’ambiente, come una riduzione della pressione sugli stock ittici. Non a caso a fianco di Prandini è annunciato nel piceno il ministro dei Fdi Francesco Lollobridiga.

Eppure, è semplice: «Non c’è cibo senza natura. Non c’è business su un pianeta morto. Non c’è lotta alla crisi climatica senza ripristino della natura» sintetizza la Lipu. La Lega italiana per la protezione degli uccelli è tra le organizzazioni in prima fila per una Nature Restoraion Law più coraggiosa e promette battaglia nella discussione che adesso passa al Trilogo, negoziati informali cui prendono parte alcuni rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione.