Gli esperti: non si può tornare indietro. Dopo il voto, la paura corre sul clima
Emergenza climatica L'uomo che si ritirò dagli accordi di Parigi è tornato. Alla vigilia della Cop29 (il vertice Onu sul cambio climatico), i timori delle associazioni
Emergenza climatica L'uomo che si ritirò dagli accordi di Parigi è tornato. Alla vigilia della Cop29 (il vertice Onu sul cambio climatico), i timori delle associazioni
«In ogni caso bisogna andare avanti; la finestra temporale per limitare a 1,5°C il riscaldamento globale si sta chiudendo. E l’accordo di Parigi si è dimostrato resiliente, più forte delle politiche dei singoli Stati»: ha scritto su X l’economista Laurence Toubiana, che nel 2015 fu negoziatrice proprio di quell’accordo che Donald Trump aveva avversato non appena eletto nel 2016.
Il parere di Toubiana, alla vigilia della Conferenza Onu sul clima, la Cop29 a Baku, è stato raccolto, insieme a quello di altri esperti e politici, da Unclimatesummit.org, gestito da Periodistas por el Planeta e ClimaInfo. Sempre su X, America Is All In, the U.S. Climate Alliance and Climate Mayors, tre importanti coalizioni statunitensi di azione per il clima (con Stati, enti locali, comunità native ecc.), dichiarano decise: «Non torneremo indietro».
Mary Robinson, già presidente degli Elders (organizzazione fondata da Nelson Mandela) ed ex premier irlandese, spera che «i recenti uragani negli Stati uniti abbiano indotto il presidente Trump a ripensare la sua posizione sul cambiamento climatico». Christiana Figueres, dal 2010 al 2016 alla guida dell’Unfccc (Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici), ritiene che il risultato elettorale non fermerà i cambiamenti mondiali per decarbonizzare l’economia: «Schierarsi con il petrolio e il gas significa rimanere indietro. E su tutto il pianeta le comunità stanno agendo con spirito determinato». Yao Zhe, consigliere politico globale di Greenpeace East Asia, ricorda che la questione climatica aveva giocato un ruolo nello stabilizzare le relazione sino-statunitensi al tempo di Joe Biden e questa cooperazione continuerà, intanto a livello sub-nazionale e fra gli attori non statali.
Vuole essere ottimista Raila Odinga, ex primo ministro del Kenya e candidato alla presidenza della Commissione dell’Unione Africana: «Le azioni degli Stati uniti in patria e a livello globale avranno un impatto determinante sull’Africa. I negoziati a Baku sono un’opportunità per gli Usa di sostenere gli investimenti di migliaia di miliardi di dollari necessari agli sforzi di mitigazione e adattamento dei paesi del Sud e a compensare, in modo tempestivo e trasparente, le perdite e i danni che i paesi del Sud hanno subito». Analoga la speranza, dal Malawi, dell’ex presidente Joyce Banda.
«Non c’è spazio per il negazionismo, in questo contesto di emergenza; gli Stati uniti sono corresponsabili dei cambiamenti climatici e devono essere corresponsabili delle soluzioni», afferma Izabella Texeira, ex ministra dell’ambiente del Brasile. Secondo la giovane attivista climatica filippina Mitzi Jonelle Tan, «non si deve permettere che la cooperazione globale per dire addio all’era fossile sia minata da un singolo leader o paese» (ma non è l’unico…). Per Bill Hare, scienziato del clima e già autore per l’Ipcc (Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici), se Trump fa il negazionista, «i principali perdenti saranno gli Stati uniti».
Yvonne Aki-Sawyerr, co-presidente di C40 Cities (un gruppo di 96enti locali di tutto il mondo), ribadisce l’impegno di sindaci e leader locali negli Stati uniti e nel mondo per proteggere le comunità e procedere verso la giustizia ambientale. Jennifer Morgan, che per la Germania è inviata speciale per l’azione climatica globale, è diplomatica: «Lavoreremo con la prossima amministrazione Usa per affrontare le sfide alle sicurezza globale, compresa la crisi climatica»; evoca poi la futura competitività economica che, per la Germania e l’Ue, sarà fra i risultati della neutralità climatica. Messaggio in codice?
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