ExtraTerrestre

Baku, la città fossile blinda la Cop29

L'ingresso del palazzo che ospiterà la Cop29 a Baku foto ApUn cartello per la COP29, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, è esposto a Baku, in Azerbaigian – foto di Sergei Grits/Ap

Clima Vigilia di summit nella capitale dell’Azerbaijan, dove il centro ricco è tipo Dubai e la periferia sventrata dalle trivellazioni. Il regime arresta oppositori e media

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 7 novembre 2024
Luca ManesBAKU (AZERBAIGIAN)

Baku, la capitale dell’Azerbaigian che ospiterà dall’11 al 22 novembre la Cop29, è la perfetta sintesi dei forti contrasti che segnano nel profondo la società del Paese del Caucaso. Il centro cittadino sembra una miscela perfetta di Dubai e Montecarlo. I tanti grattacieli, alcuni ancora in costruzione, guardano dall’alto le mura della città vecchia e l’ampio boulevard che si estende a pochi metri dalle acque del Caspio. Appena ci si allontana dai palazzi del potere, dalle vie dei negozi del lusso e dagli alberghi a cinque stelle, però, ci si imbatte in pezzi di città letteralmente sventrati per far posto alle ennesime operazioni di speculazione immobiliare.

UNA DELLE IMMAGINI MAGGIORMENTE paradigmatiche delle contraddizioni che segnano questa porzione di mondo si trova in periferia, alle spalle dello Stadio Olimpico, dove sorge il sobborgo di Balakhani. Lì è cominciato lo sviluppo petrolifero nel lontano 1872 e ancor oggi sono decine le trivelle che punteggiano il panorama, a pochi metri da case e botteghe mal in arnese. Stessi scenari, ancor più depressi, si incontrano se si esce dalla capitale. Polverose strade sterrate, prive di fognature, e vecchi edifici d’epoca sovietica testimoniano un livello di povertà molto alto. Insomma, gas e petrolio rendono, ma solo per l’élite. In primis la famiglia che dal 1993 governa, incontrastata, il Paese: gli Aliyev. Prima è stato il turno di Heidar, il “padre della patria”, e come tale omaggiato di effigi che a Baku si incontrano a ogni angolo di strada. Alla sua morte, nel 2003, gli è succeduto suo figlio Ilham, che amministra l’Azerbaigian con metodi che di democratico hanno solo una patina quasi invisibile – e che ha come vice-presidente, unico caso al mondo, la consorte Mehriban. Nel 2016, i Panama Papers hanno rivelato come, grazie a una rete di società segrete in paradisi fiscali offshore, la sua famiglia, i suoi consiglieri e i suoi alleati avevano costruito un impero di ricchezza, acquisendo costose case all’estero e ingenti quote nelle industrie del Paese. Tra queste ultime spiccava la Socar, l’azienda che gestisce l’oil&gas azero, di cui è direttamente il presidente a decidere i vertici.

COME CI HANNO RACCONTATO TUTTI GLI ESULI azeri incontrati negli ultimi mesi, attualmente nel Paese è in corso una forte stretta repressiva. Il numero dei prigionieri politici è aumentato da 90 a oltre 290, mentre con la scusa dell’epidemia di covid-19 i confini di terra sono chiusi – chi vuole uscire lo può fare solo pagando visti e salati biglietti aerei. Il motivo, ci hanno detto in coro, è la Cop29, un appuntamento troppo importante per il governo, che intende approfittare dell’occasione per siglare vari contratti per l’export di combustibili fossili, anche grazie alla massiccia presenza di lobbisti del settore. Di conseguenza le voci scomode vanno tacitate. E allora non è un caso che l’Azerbaigian occupi il 151esimo posto su 180 paesi nella classifica della libertà di stampa stilata da Reporters Without Borders (RWB).

“Due media indipendenti sono stati chiusi e 20 giornalisti sono al momento in prigione, tra cui alcuni di Abzas Media che stavano indagando sugli appalti per la ricostruzione degli edifici distrutti dalla guerra in Nagorno Karabakh, che è appena tornato a essere territorio azero”, ci ha spiegato Leyla Mustafayeva, direttrice ad interim di Abzas Media, testata indipendente che dirige da Berlino, dove è arrivata nel 2017, anche a seguito della prima forte stretta contro giornalisti ed esponenti delle Ong realizzata con una legge sui finanziamenti dall’estero. Una normativa che di fatto rendeva quasi impossibile ricevere denaro da entità che non fossero azere. “Abbiamo stabilito che da novembre 2024 Abzas Media sarà ‘ufficialmente’ in esilio, perché non è possibile continuare a lavorare in un Paese dove chi fa il suo lavoro di giornalista viene perseguitato e rinchiuso in prigione perché dà fastidio al potere” ha aggiunto Mustafayeva.

L’elenco dei “nemici” del governo di Baku non è però composto solo da giornalisti, avvocati o attivisti. Ci sono anche gli artisti, come il rapper Jamal Ali. “Vivo a Berlino da 12 anni. Nel 2012, quando in Azerbaigian si è tenuto l’Eurovision, ci sono state proteste di piazza contro il regime. Io ero stato invitato a esibirmi come musicista e a un certo punto il mio concerto è stato interrotto. Mi accusavano di aver insultato le autorità, cosa che non stavo nemmeno facendo. Poi ho iniziato davvero a criticare il presidente Aliyev. Allora mi hanno arrestato e tenuto in prigione per dieci giorni. Ma sono stato fortunato perché, grazie all’attenzione dei media legata all’Eurovision, sono stato rilasciato e ho avuto due possibilità”. Ovvero, poteva andar via o rimanere, avendo però la quasi certezza di trascorrere i successivi cinque anni in prigione. “Così ho deciso di venire a Berlino. Ci sono centinaia, forse migliaia di persone che fuggono dall’Azerbaigian verso la Germania. L’anno scorso, però, l’Azerbaigian e la Germania hanno rafforzato le loro relazioni diplomatiche. Non a caso, di recente molti azeri sono stati respinti alla frontiera tedesca”. L’influenza dell’Azerbaigian sui governi europei, così poco critici nei confronti di Baku anche dopo la recente guerra contro l’Armenia per la riconquista del Nagorno Karabakh, ha una lunga storia di “attenzioni reciproche” e sul versante azero ha preso il nome di “Caviar Diplomacy”. Una diplomazia incentrata su gesti di generosità non proprio disinteressata, come il milione di euro “regalato” dal presidente Aliyev alla città di Roma durante la sua visita nella primavera del 2014 per gli scavi archeologici nell’area del foro. Ma le dazioni di denaro non sono sempre state così alla luce del sole.

PER RIMANERE NEL NOSTRO PAESE, sono coincise con un caso di corruzione, come quello che ha visto protagonista l’ex deputato dell’Udc Luca Volontè, condannato a quattro anni di reclusione per aver ricevuto 500mila euro nel 2012-2013 dall’allora rappresentante dell’Azerbaigian all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Elkhan Suleymanov. In cambio Volontè, allora presidente del gruppo Popolari-Cristiano Democratici, doveva orientare il voto del proprio gruppo parlamentare contro l’approvazione del rapporto del socialdemocratico tedesco Straesser sulle condizioni di 85 prigionieri politici a Baku. Ora il reato è andato in prescrizione.

INTANTO L’AZERBAIGIAN CONTINUA a essere un “caro amico” del nostro governo, visto che è rispettivamente primo per import di petrolio e secondo per quello del gas. Non che gli altri esecutivi europei disdegnino il petrolio e il gas di quella parte del Caucaso, facendo così “fatica” a denunciare i soprusi della presidenza Aliyev. Per gettare fumo negli occhi della comunità internazionale, Baku negli ultimi due lustri ha sfruttato grandi eventi internazionali non solo istituzionali come la incombente Cop29, ma anche del mondo dello spettacolo e dello sport. Abbiamo già menzionato l’Eurovision, ma è impossibile non ricordare i Giochi europei del 2015, tanto risibili dal punto di vista sportivo, quanto gonfiati dal punto di vista dell’immagine, con costi ipotizzati – perché di cifre ufficiali gli azeri non ne hanno fornite – di circa 8 miliardi di euro. Solo un miliardo in meno del conto finale per i Giochi di Londra del 2012, con il mastodontico stadio Olimpico che è tornato utile per alcune partite degli Europei dei Calcio del 2021 E poi c’è l’appuntamento ormai fisso del gran premio di Formula Uno sul circuito della capitale. Lo sportwashing accomuna l’Azerbaigian con altri stati tanto amici dei combustibili fossili e poco inclini al rispetto dei diritti umani – pensiamo al Qatar – e non abbiamo dubbi che il presidente Aliyev continuerà a usarlo per rafforzare la sua stretta ferrea sul potere.
*ReCommon

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento