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Un ponte con l’islam e pace nel paese delle guerre permanenti

Un ponte con l’islam e pace nel paese delle guerre permanentiNajaf si prepara all'incontro tra papa Bergoglio e l'ayatollah al-Sistani – Ap

Iraq I messaggi di papa Francesco, in arrivo oggi in Iraq, dove incontrerà la comunità cristiana caldea ma anche l'ayatollah al-Sistani. L'obiettivo finale è un documento comune con la massima autorità sciita come fu nel 2019 con i sunniti

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 5 marzo 2021

«Fratellanza» e «pace» sono le parole chiave del viaggio apostolico di papa Francesco in Iraq che comincia oggi (arrivo a Baghdad previsto alle 14) e si concluderà lunedì 8 marzo: la prima volta di un pontefice in Iraq, il primo viaggio da quando è esplosa la pandemia, oltre un anno fa.

I cristiani sono una minoranza: meno di 400mila, su una popolazione di quasi 40 milioni di abitanti (vent’anni fa erano il triplo). Il papa va in Iraq sì a incontrare i cristiani, a cominciare dai caldei guidati dal patriarca Louis Sako, che ha spiegato all’agenzia Fides: «Il papa non viene a difendere e proteggere i cristiani, non è il capo di un esercito».

Ma soprattutto va a gettare ponti verso il mondo islamico, a maggioranza sciita: sabato a Najaf, dove è sepolto Alì – secondo la tradizione, genero del profeta Maometto, quarto califfo e primo imam degli sciiti –, ci sarà l’incontro con il grande ayatollah Sayyid Al-Sistani, la più alta autorità dell’islam sciita.

Una «visita di cortesia», precisa il programma ufficiale diffuso dalla sala stampa della Santa sede. L’intento però – ma per questo ci vorrà ancora del tempo – è quello di arrivare alla firma di un documento comune, come quello sulla «fratellanza umana» sottoscritto ad Abu Dhabi nel febbraio 2019 con l’egiziano Ahmed Al-Tayyeb, grande imam di Al-Azhar e massima autorità dell’islam sunnita: un’alleanza fra i capi dei più grandi monoteismi per mettere al bando ogni legittimazione religiosa di violenze e conflitti.

La pace è l’altro tema forte del viaggio del papa. L’Iraq è la terra delle due guerre del Golfo volute dagli Usa, la prima terminata esattamente trent’anni fa (il 28 febbraio 1991), la seconda nel 2003 che il cardinale Fernando Filoni – nunzio apostolico a Baghdad fra il 2001 e il 2006 e che ora accompagna Francesco in Iraq – definisce «fondata sulle bugie delle armi chimiche e batteriologiche» in possesso di Saddam Hussein; ma anche dell’Isis, della distruzione di Mosul (dove il papa andrà domenica, attraversando il Kurdistan iracheno), dei missili e delle bombe che piovono ed esplodono anche in queste settimane.

Il viaggio di papa Francesco, in dubbio fino all’ultimo minuto causa Covid ma anche per la situazione “calda”, «riporta all’attenzione del mondo la lunga lista di violenze e guerre che hanno colpito le comunità in Iraq, provocando morti e migliaia di profughi – spiega una nota di Pax Christi International – Inoltre le sanzioni economiche che alla lunga hanno finito col danneggiare soprattutto le persone comuni, le bombe all’uranio impoverito e il fosforo bianco, la devastazione ambientale, la distruzione delle infrastrutture, le tante uccisioni e i tanti rapimenti da parte dell’Isis che hanno reso e rendono ancora oggi le donne vittime di schiavitù e violenze sessuali. Ci auguriamo che il viaggio di papa Francesco rappresenti una vera svolta nell’impegno per la pace così come una decisa denuncia della guerra».

La sintesi del viaggio ci sarà domani, con l’incontro interreligioso presso la Piana dell’antica città sumera di Ur da dove, secondo la tradizione, Abramo, il «patriarca di tutti i credenti» – a lui si rifanno ebraismo, cristianesimo e islam –, iniziò la sua lunga marcia verso la terra promessa.

«Vengo come pellegrino di pace in cerca di fraternità – ha detto il papa in un videomessaggio inviato ieri al «popolo dell’Iraq» –, animato dal desiderio di pregare insieme e di camminare insieme, anche con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose, nel segno del padre Abramo, che riunisce in un’unica famiglia musulmani, ebrei e cristiani».

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