Ucraina, scenari esplosivi per il mondo. C’è solo l’alternativa della diplomazia
foto di Aleandro Biagianti
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Ucraina, scenari esplosivi per il mondo. C’è solo l’alternativa della diplomazia

È escalation di guerra. La Nato, che s’allarga a spese dei curdi, indica il nuovo nemico: la Cina. L’Onu, che è azzerata, va richiamata a ruolo con una Conferenza di pace Helsinki 2
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 5 luglio 2022

Al summit della Nato il prezzo dell’ingresso nell’Alleanza militare di Svezia e Finlandia è stato la testa dell’opposizione curda. D’altra parte Stoltenberg ha affermato che «nessun alleato ha sofferto più della Turchia a causa del terrorismo». Nulla di nuovo: nell’ottobre 2019, quando, approfittando del disimpegno americano, la Turchia invase il Kurdistan siriano, il segretario della Nato definì Erdogan come il portatore di «legittime preoccupazioni di sicurezza» alla faccia del sacrificio della milizia curda Ypg contro i tagliagole dell’Isis. Il punto è che Erdogan – a parere di Mario Draghi (8 aprile 2021) – è un dittatore.

D’altra parte l’Ungheria della «democrazia illiberale» e l’oscurantista Polonia sono membri della Nato. Per il nuovo documento-guida della Nato, il problema sono i regimi autoritari (esclusi quelli di Paesi della stessa Nato, evidentemente), la Russia è una «minaccia» – affermazione spiegabile a causa dell’aggressione all’Ucraina, ma foriera di ulteriori tensioni -, la Cina una «sfida ai nostri interessi, valori e sicurezza» (tesi che allarga la tensione su scala mondiale). Ne consegue una funzione «globale» dell’Alleanza atlantica, una interpretazione «estensiva» dell’articolo 5 e un gigantesco rafforzamento del suo apparato militare. Ovvia la reazione della Cina: è la Nato che è «una sfida sistemica alla pace e alla stabilità mondiale».

Non sfugge l’impressione che la vera sostanza della questione sia la difesa del primato dell’Occidente sul resto del mondo.
Tutto ciò è in diretta relazione col conflitto ucraino, dove è in corso una continua escalation: dai bombardamenti russi alle dichiarazioni incendiarie di Medvedev, all’intervista alla ministra degli Esteri britannica Liz Truss che sostiene che l’Ucraina attraverso il potenziamento dell’invio di armi «potrà riconquistare il Donbass, anzi tutto il Paese occupato dalla Russia» (e dunque anche la Crimea) e aggiunge persino che la Gran Bretagna è pronta a difendere l’integrità territoriale di Taiwan. Il tutto nella sostanziale assenza dell’Onu.

Grazie anche al riposizionamento della Nato la pentola a pressione si surriscalda e può esplodere da un momento all’altro. Cadono nel vuoto persino le parole del vecchio Henry Kissinger che invita alla moderazione.
In tutti i casi l’Europa sarà coinvolta in una ennesima e pesantissima crisi economica (peraltro già in corso) e l’Italia corre il rischio di esserne travolta: continua diminuzione delle previsioni di incremento del Pil, generalizzato aumento dei prezzi a cominciare dalle fonti di energia, diffusissima povertà (5 milioni e 600mila poveri nel 2021), tasso di inflazione giunto all’8%. L’aumento dei prezzi dell’energia, collegato alla diminuzione della produzione idroelettrica a causa della siccità, causerà uno shock a parte importante dell’industria. Il crescente malessere sociale si manifesta anche con l’irrefrenabile diserzione al voto e può esplodere nei prossimi mesi in forme e modi imprevedibili.

E se la guerra si espandesse, con il concreto pericolo nucleare? C’è una sola alternativa a questi foschi scenari: il negoziato. Essa richiede un nuovo protagonista: la diplomazia.
Sono questi i motivi per cui l’Anpi, l’Arci, il Movimento europeo, il direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio (primi firmatari), hanno presentato un appello all’Unione Europea per il cessate il fuoco, l’avvio di una trattativa, l’invio di una forza di interposizione delle Nazioni Unite, l’istituzione di una Conferenza internazionale di pace (Helsinki 2), una nuova normativa per i profughi al fine di garantirne l’accoglienza indipendentemente dall’etnia, dal credo religioso, dal territorio di provenienza.

Abbiamo presentato l’appello nella sede romana del Parlamento Europeo, ci siamo incontrati con un rappresentante del governo italiano e ci incontreremo con il Cardinale Zuppi, Presidente della Cei, e con gli ambasciatori di Francia e Germania.
Daremo vita, su tutto il territorio nazionale, a iniziative a sostegno dell’appello, incluso il tradizionale appuntamento della «Pastasciutta antifascista» del 25 luglio. Dall’ultimatum alla proposta: vanno messe a valore le risorse del nostro Paese, in particolare il mondo dell’associazionismo laico e religioso, del movimento sindacale, del volontariato, della Rete della Pace e Disarmo che già sta virtuosamente operando.

Ogni giorno perso si conta in numero di morti. Conosciamo bene i media (e anche alcuni politici) che cercano di annichilire qualsiasi opinione diversa perseguendo la militarizzazione del dibattito pubblico negando la natura stessa di quegli ideali liberaldemocratici a cui dicono di ispirarsi: la libertà di opinione, la tolleranza e il rispetto (povero Bobbio!). Va contrastata questa deriva che indebolisce la natura stessa della democrazia costituzionale nel nostro Paese.

Sia pure in modo (molto) contraddittorio, Scholtz, Macron e lo stesso Draghi si sono fatti portatori di proposte di negoziato. A loro in primo luogo chiediamo di farsi portavoce nel concerto dell’Unione europea delle proposte che abbiamo avanzato nell’appello. In questo drammatico scenario le resistenze di Putin e poi quelle di Biden e Johnson vanno vinte con un’azione combinata delle diplomazie e di un’opinione pubblica che, silente ed inascoltata, nel nostro Paese continua nella sua maggioranza ad essere contraria all’escalation a cui stiamo assistendo. È’ ora di rovesciare il tavolo.

* Presidente nazionale dell’Anpi

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