Ucraina, la paura viene col disgelo: strade quasi percorribili
Reportage La via che dal fronte orientale arriva a Odessa porta le tracce di due anni di guerra e l'ansia del terzo in arrivo. Nell’est il sole fa bruciare i campi seccati dal gelo, buona notizia per i carri armati russi. A Odessa niente foto della scalinata della Corazzata Potemkin: timore per gli infiltrati
Reportage La via che dal fronte orientale arriva a Odessa porta le tracce di due anni di guerra e l'ansia del terzo in arrivo. Nell’est il sole fa bruciare i campi seccati dal gelo, buona notizia per i carri armati russi. A Odessa niente foto della scalinata della Corazzata Potemkin: timore per gli infiltrati
I campi bruciano nell’est, ma non è solo a causa dei bombardamenti. L’erba è stata seccata dal gelo e quando il sole caldo di questi giorni la irradia prende fuoco quasi come d’estate. Lungo il viaggio capita spesso un campo agricolo con i lavoranti che provano a controllare le fiamme o i pompieri già all’opera. Il caldo inatteso di questi giorni è pericolosissimo per Kiev: se le strade e i boschi dovessero tornare a essere percorribili dalle colonne corazzate prima del solito, i russi potrebbero iniziare la loro offensiva sul fronte est molto prima delle previsioni annunciate dallo Stato maggiore ucraino in tv.
A PAVLOGRAD, appena usciti dal Donetsk, il bassorilievo con i cosacchi sbiaditi e la grande parete commemorativa dei soldati sovietici fanno da sfondo a un tendone per l’accoglienza dei numerosi sfollati interni che hanno finalmente acconsentito a farsi evacuare dai villaggi del Donbass a patto di non andare troppo lontano. Dnipro è sempre la stessa, trafficata e attiva come la città industriale che è. Impegnata a produrre e a sostenere la guerra, oltre agli oligarchi che qui hanno sempre fatto ottimi affari. Ma per i nazionalisti la città è intoccabile, è qui che nacquero alcuni dei battaglioni autonomi più osannati tra quelli che hanno combattuto contro i separatisti dal 2014 in poi. «Chiudete il cielo sull’Ucraina» si legge su un grande striscione plastificato che sovrasta la statale a 4 corsie all’ingresso della città. L’unico tratto umano è quello a cavallo del fiume, che a molti giornalisti ricorda la civiltà dopo settimane difficili nel Donbass durante i primi mesi di guerra. Qui, volendo, si può bere la prima birra alla faccia del proibizionismo che vige nell’est; si può restare in giro anche dopo le 21 perché il coprifuoco è a mezzanotte e molti militari vengono in licenza per dimenticarsi di tutto nei night semiclandestini.
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I militari ucraini: «E l’Italia che ne pensa?». Nelle trincee ci speranoSUPERATO il fiume Dnipro la strada si inerpica fino a raggiungere un tratto di campagna caratterizzato da una serie di saliscendi che per quasi due ore sono accompagnati dallo stesso paesaggio di campagna monotono. Fino a Kryvyi Rih, la città che dal 24 febbraio si cita sempre e solo come luogo natale di Volodymyr Zelensky e che altrimenti avrebbe ben pochi motivi per essere ricordata. Una cornucopia gigante occupa il centro della rotonda intorno alla quale il lunghissimo rettilineo di Kryvyi Rih si sviluppa. Molte delle città ucraine che negli anni sovietici hanno visto un forte sviluppo industriale si sono espanse così: in linea retta, come delle cittadine dei film western. Negozi da un lato e dall’altro, palazzoni dietro (l’evoluzione dei motel impolverati) e poi campagna. Qualche reporter aveva scommesso sull’apertura di un nuovo fronte in quest’area e ci aveva investito giorni e servizi, ma poi non è mai successo nulla. A parte la cornucopia e Zelensky, Krivyi Rih non lascia alcun segno tangibile della sua presenza.
DA QUI FINALMENTE si scende nel sud, quello che per i russi arrivati in Occidente sotto la spinta conquistatrice di Caterina II era il «posto al sole» cantato in molti dei romanzi ottocenteschi della grande letteratura russa. Ancora campagna ma più ricca, selvaggia, sviluppata intorno al grande fiume che divide il Paese a metà (e che secondo le tesi dei complottisti sarà il limite dell’offensiva russa attuale). In questa zona si è combattuto duramente. I villaggi lungo la direttrice che da Novyi Bug si sviluppano lungo la H11 fino a Mykolayiv hanno cicatrici evidenti. Resti di alimentari bruniti dalle fiamme, case coloniche con il tetto sventrato, scuole ed edifici pubblici diroccati. Alcune strade di campagne sovrastate dai rami degli alberi che quasi si intrecciano custodiscono ancora i vestiti e gli oggetti personali dei militari, segno che più di un reparto è saltato in aria quando non se l’aspettava. Grandi poster di soldati e civili morti sono stati installati sul viale centrale di Bashtanka, il centro principale dell’area.
DA UNA GRANDE rotonda si entra nella «città martire» del sud: Mykolayiv. Oggi la situazione è molto migliore rispetto a un anno fa. Da quando Kherson ovest è stata riconquistata dagli ucraini è lì che si concentra il fuoco russo. Non c’è più il rischio che i soldati del Cremlino tentino un’avanzata da un momento all’altro e l’acqua che esce dai rubinetti è tornata a essere dolce. Anche Mykolayiv è una lunghissima linea che arriva fino a un ponte – minato. Se i russi fossero arrivati fin qui gli ucraini l’avrebbero fatto saltare e si sarebbero ritirati a ovest del grande fiume Bug orientale che lì si congiunge alla foce del Dnipro.
OLTRE MYKOLAYIV l’ultimo tratto della M14 porta ad Odessa. L’asfalto è stato sistemato, la strada è molto migliore dei primi mesi di guerra. Dopo una lunga discesa si vedono all’orizzonte i palazzi della Perla del Mar Nero. La paura che i russi tentino di sbarcare qui non c’è più e anche il lungomare con la famosa scalinata del film La Corazzata Potemkin ora è percorribile. Ma niente foto, i bombardamenti sono molto frequenti in città e la paranoia degli infiltrati altissima. Le belle strade del centro di Odessa che hanno nomi evocativi della sua fondazione e richiamano Deribas, Richelieu, i greci, gli italiani e la zarina Caterina sono piene di gente. Al posto della statua della zarina ora sullo stallo di marmo c’è solo una bandiera ucraina e il pratino circostante è pieno di bandierine e croci. In piazza due ragazzi suonano al centro di una folla di adolescenti che canta a squarciagola classici ucraini e pop anglosassone. Cantano fino a mezz’ora prima del coprifuoco, che qui è alle 22, e in quelle urla senti tutta la voglia di dimenticarsi della guerra. Poco dopo la città torna deserta e i militari ricominciano la ronda alla ricerca di sabotatori.
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