Lavoratori sottopagati, controllati, licenziati senza giustificazione; barriere informatiche ai controlli delle forze dell’ordine; guadagni nascosti nei paradisi fiscali. E ancora: «Violazione delle leggi, sfruttamento della violenza contro i propri autisti per mettere sotto pressione la politica, pressioni sui governi durante la sua espansione globale aggressiva». Sono le accuse contenute nell’inchiesta giornalistica «Uber files» realizzata dall’International consortium of investigative journalists la cui prima parte è stata pubblicata sulle principali testate internazionali.

OLTRE 124MILA documenti dal 2013 al 2017 raccontano l’ascesa della startup di San Francisco, all’epoca gestita dal suo cofondatore Travis Kalanick. Si tratta di una delle piattaforme di lavoro più grandi del mondo, 19 milioni di viaggi al giorno. Per affermarsi ha cercato il sostegno degli oligarchi russi come dell’allora vicepresidente Usa Joe Biden, fino all’India passando, ad esempio, per l’Europa. Al tavolo delle trattative offrivano redditizie partecipazioni finanziarie.

KALANICK al suo team di dirigenti scriveva: «Siamo fottutamente illegali», «siamo diventati dei pirati» la replica. In Europa esplode la protesta dei tassisti, Kalanick esorta i manager a organizzare contromanifestazioni mandando in piazza gli autisti. A chi fa notare il rischio di scontri, risponde: «Ne vale la pena. La violenza garantisce il successo».

Emmanuel Macron (all’epoca ministro dell’Economia) avrebbe aiutato segretamente l’azienda ad affermarsi in Francia.

Invece il cancelliere tedesco Olaf Scholz, all’epoca sindaco di Amburgo, si sarebbe opposto così da Uber lo bollano come «un vero comico» per aver respinto i lobbisti e insistito per pagare ai conducenti un salario minimo. Pro Uber Joe Biden: dopo aver incontrato Kalanick al World economic forum di Davos avrebbe cambiato il suo discorso per difendere «la libertà di lavorare tutte le ore che desiderano, di gestire la vita come desiderano».

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GLI UBER FILES hanno scosso anche Bruxelles, ieri l’annuncio: «La Commissione europea invierà una lettera di chiarimento a Neelie Kroes», ex commissaria alla Competizione, poiché avrebbe aiutato a fare pressioni su Mark Rutte e altri politici olandesi. «Stiamo raccogliendo informazioni, non siamo un’organizzazione che arriva alle conclusioni senza prove» ha spiegato il portavoce Balasz Ujvari.

IN FRANCIA la situazione è particolarmente esplosiva. «Super riunione con Macron questa mattina. Tutto sommato la Francia ci ama»: è il messaggio del primo ottobre 2014 inviato ai suoi colleghi lobbisti da Mark MacGann (la fonte che ha fornito i documenti a The Guardian). Da poche ore era entrata in vigore la legge Thevenoud che stabiliva regole più severe per diventare autisti di Uber e vietava UberPop, il servizio che aveva scatenato la protesta dei tassisti.

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DAI DOCUMENTI emergerebbe il ruolo di Macron come alleato dell’azienda Usa: «Un patto per fare in modo che la Francia lavori per Uber e quest’aultima possa lavorare in e per la Francia». Uber France ha definito i contatti «normale amministrazione» ma per Mathilde Panot di France Insoumise c’è stato un «saccheggio» del Paese con Macron nelle vesti di «consigliere e ministro di Hollande e lobbista per la multinazionale che puntava a una persistente deregulation del diritto del lavoro». Chiesta una commissione d’inchiesta. Dal Partito comunista, Fabien Roussel denuncia «le agghiaccianti rivelazioni sul ruolo di Macron, contro le nostre conquiste sociali e i diritti dei lavoratori».

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IN ITALIA Uber ha cercato una sponda con l’allora premier Renzi che all’Espresso ha precisato: «Mai seguito personalmente le questioni dei taxi. Il ceo mi chiese un appuntamento che non gli ho dato. Le norme sul trasporto pubblico in cui loro volevano inserirsi non furono approvate». Nelle mail dei manager americani Renzi viene definito «un entusiastico sostenitore di Uber». I 5S chiedono che il leader di Iv chiarisca vista «la sua arcinota vicinanza con le lobby».

Da sinistra il deputato Stefano Fassina commenta: «Uber è la capofila delle multinazionali delle quali i nostri tassisti, secondo le norme di delega scritte dal governo Draghi, dovrebbero subire la concorrenza in nome di presunti diritti del consumatore. Dopo la pubblicazione degli Uber files è più chiaro perché la stragrandissima maggioranza delle associazioni dei tassisti ha scritto al presidente del Consiglio per chiedere lo stralcio dell’art. 10 del dl Concorrenza in discussione alla Camera».