Ormai Italia e Albania sembrano voler procedere di pari passo per quanto riguarda l’accordo sui migranti siglato tra la premier Giorgia Meloni e l’omologo Edi Rama, entrambi decisi a stringere al massimo i tempi della sua attuazione. E così, come sembra ormai escluso che il parlamento del paese delle Aquile potrà discutere l’intesa siglata lunedì a Roma, lo stesso non potranno fare le Camere italiane. «Non è necessario», ha spiegato ieri il ministro per i rapporti con il parlamento Luca Ciriani. «C’è già un accordo internazionale che regola la materia, questo è un trattato di collaborazione rafforzata tra Italia e Albania in tema di immigrazione che è già previsto dagli accordi sottoscritti e ratificati precedentemente, uno del 1995 e l’altro del 2017». Dunque si va avanti senza ulteriori discussioni.
Una spiegazione che non convince però le opposizioni, più che mai decise a dare battaglia . Il primo a reagire è Benedetto Della Vedova: «Non è accettabile», dice il deputato di +Europa commentando quanto comunicato di Ciriani. «Meloni non scappi, dispone di una solida maggioranza quindi affronti l’iter parlamentare. Quella annunciata da Ciriani sarebbe una forzatura incomprensibile e pericolosa». A ruota M5S, Verdi e Sinistra e Pd chiedono al ministro di riferire in parlamento. E’ qui che si discutono gli accordi internazionali, ricorda la segretaria del Pd Elly Schlein, «forse non lo fanno perché sanno già che viola il diritto internazionale, viola l’articolo 10 della Costituzione». La questine diventa oggetto di una riunione dei capigruppo della camera che si tiene a tarda sera.
INTANTO MELONI cerca di ricucire il rapporto con gli alleati. Palazzo Chigi bolla come fantasiose» le ricostruzioni secondo le quali l’accordo siglato con Rama sarebbe stato deciso all’insaputa di Forza Italia e Lega e soprattutto dei suoi ministri. «Fin dall’inizio – è la versione ufficiale utile a far tacere il malumori interni alla maggioranza – c’è stato «il pieno coinvolgimento dei due vicepremier Salvini e Tajani e l’intesa è stata costruita passo dopo passo con la totale collaborazione dei ministri coinvolti, a partire dai ministri di Interno, Esteri e Giustizia». Proprio quest’ultimo ieri è intervenuto per blindare l’intesa: «Io spero – ha detto infatti Nordio – che eventuali pronunce della magistratura n on vanifichino la futura operatività dell’accordo».
DIVERSI I PUNTI sui quali per le opposizioni sarebbe necessaria una maggiore chiarezza, a partire da chi esaminerà le richieste di asilo a chi e come esaminerà gli eventuali ricorsi. Ma anche, e non è un particolare secondario, a come si arriverà a dichiarare extraterritoriali le strutture in Albania nelle quali verranno rinchiusi i migranti. Questioni che fanno parte dei chiarimenti richiesti da Bruxelles da quando il contenuto dell’intesa sui migranti è stata reso noto. Ma che almeno per ora non sembrano preoccupare più di tanto le istituzioni europee, in passato capaci di usare toni ben più decisi – quando si è affrontato il dossier migranti – rispetto a quelli a dir poco prudenti sentiti fino a ieri. Come dimostrano le dichiarazioni rese ieri dal commissario Ue all’Allargamento Oliver Varhelyi, che ha definito «interessante» il «modello» proposto dall’accordo con l’Albania.
Chi non fa sconti è invece la chiesa. Per il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, l’accordo Italia-Albania altro no è che «un’ammissione di non essere in grado» di gestire l’immigrazione. «Non si capisce perché non venga sistemata meglio l’accoglienza qui». Ancora più dure il presidente della Fondazione Migrantes, monsignor Gian Carlo Perego, per il quale far sbarcare i migranti in Albania è «un progetto che davvero disonora l’Italia».
Ma il tema fa discute anche fuori dai confini nazionali. L’Alto commissario della Nazioni unite per i rifugiati, Cate Blanchett, definisce la decisione di esternalizzare la gestione dei migrati una «politica inefficace e disumana».