Se l’aggiudica Van der Poel la prima maglia rosa al Giro, ma il più scontato dei pronostici arriva al termine di una delle volate più belle e incerte degli ultimi tempi. Anche perché la tappa parte da Budapest e si srotola in pianura per tutta la sua lunghezza, ma incappa, in vista dell’arrivo a Visegrad, in 5 km di un’ascesa che, pur gentile, incarognisce l’intera vicenda.

Visegrad è una fortezza issata su un cocuzzolo che fa da guardia all’ansa del Danubio. Città simbolo del regno ungherese, il re Mattia Corvino aveva quassù in cima la sua residenza estiva. Erano tempi duri, le pianure magiare erano abituate da secoli ad essere teatro di scorribande delle genti più diverse, e, dall’espansione della Porta nei Balcani, ultimi bastioni della cristianità con licenza, per chi le controllava, di non guardare troppo per il sottile.

La lotta ai Turchi, come l’anticomunismo secondo Hoover, comportava strani compagni di letto, e al colto Corvino, educato ai valori del rinascimento dai neoplatonici italiani, toccò di far combriccola col principe di Valacchia Vlad III, conosciuto dai contemporanei come “l’Impalatore” e dai romantici dell’800 come Dracula. Una personcina a modo, insomma. Respinti più volte gli eserciti del sultano, i due finirono per farsi la guerra tra di sé.

Non corrono il rischio di rompere il sodalizio Bais e Tagliani, i primi fuggitivi di questo Giro d’Italia. Stessa squadra, stessa sorte avversa (neanche un cane che li accompagni), stesse possibilità di arrivare al traguardo (zero). Si fanno e ci fanno compagnia attraverso i latifondi dei conti Esterhazy (un discendente fu dirottato da Le Carré alla corte di Controllo ne “La Talpa”) per venire poi inghiottiti dal gruppo a 15 km dall’arrivo, ché i favoriti hanno già l’obiettivo della prima maglia rosa nel mirino.

All’inizio della salitella finale provano ad anticipare il gruppo prima Naesen e poi Kamna, ma i favoriti non sono in vena di fare concessioni. A scattare secco è l’eritreo Girmay; Ewan, il più veloce se si arrivasse in piano, tiene botta, si ingobbisce, sbava, ma perde alla fine lucidità e rotola giù.

A quel punto Van der Poel assume una posa, non è esagerato dirlo, regale, affianca l’avversario e lo batte di mezza bicicletta. Tra i favoriti per la rosa di Milano l’ufficio facce, riunito sull’arrivo, vota Carapaz, che rosicchia anche qualche secondo ai diretti concorrenti.

Van der Poel è un corridore diverso, corre quando vuole e come vuole, quando ne ha voglia, senza applausi o fischi. Da novembre a ottobre, dal ciclocross alle classiche ai giri a tappe. E vince sempre, per se stesso e per vendicare tutti i secondi posti di nonno Poulidor.