Lo avevamo già scritto. Visto che poco è cambiato, tocca ripeterci perché in certi casi non imparare è più che peccato, è una colpa.

Penultima tappa del Giro d’Italia, sabato scorso. Si deve scalare per due volte il Monte Grappa, salita che passa da 185 a 1675 metri in 18 km, pendenza media 8% con punte del 14%. In testa alla classifica c’è lo sloveno Tadej Pogacar che, benché già in grande vantaggio, cinque chilometri prima del secondo arrivo sul Grappa accelera e vince la tappa, la sesta. I tifosi sono tantissimi, soprattutto vicino alla vetta. Chiunque sia andato in bicicletta sa che le salite sono durissime e che determinano quasi sempre le posizioni in classifica. Gli atleti, lì, sono sottoposti a uno sforzo assoluto. Muscoli, respiro, ritmo della pedalata, resistenza sono il frutto di mesi di allenamento e tattiche di squadra. Nulla è lasciato al caso, ogni dettaglio può fare la differenza. Poi ci sono gli imprevisti, le buche, il rischio di forature, di caduta, di rotture meccaniche. Un tifoso vero queste cose le sa, così come sa che il tifo è un’arma a doppio taglio. Se è buono diventa per gli atleti carburante psicologico, se eccede può rivelarsi nefasto.

VICINO alla cima del Grappa alcuni falsi tifosi hanno dato il peggio di sé. Primo fra tutti è un vecchietto che, appena passa Pogacar, gli scaglia sulla schiena una pacca sonora, proprio in uno dei momenti di maggior sforzo. Un colpo così ti deconcentra, rompe il ritmo del respiro, può sbilanciarti e farti cadere. Il corridore si è girato e ha protestato, il vecchietto ha ridacchiato come se niente fosse. Forse pensava a come si sarebbe vantato la sera con gli amici. Siccome tutti lo abbiamo visto in faccia, sappia, l’eroe, che un’intera nazione in quel momento ha pensato «Sei un cretino». Pochi metri dopo altri fenomeni hanno acceso fumogeni rosa che sono finiti proprio sul naso, e quindi dentro i polmoni, dei corridori.

ALTRI si sono messi a correre come ossessi, per metri e metri, qualcuno a torso nudo, uno in mutande cascanti, a pochi centimetri da chi pedalava. Poi c’erano quelli che si sono piazzati in mezzo alla strada per fotografare i ciclisti scostandosi solo all’ultimo istante, quelli che si avvicinavano pericolosamente agitando le braccia, quelli che insistevano a dare manate. Chi guardava da casa tratteneva il fiato pensando «Metteteci delle transenne».

Il tifo può assumere molte forme e se la maggior parte degli spettatori è stata rispettosa, i pochi che hanno sbroccato sono stati i più visti e proprio lì sta il problema. Certa gente si esibisce in quelle performance non per sostenere il proprio beniamino, ma per farsi vedere in televisione e quindi diventa una gara a chi si fa notare di più.

A questo proposito la medaglia di latta va a quel signore che è arrivato con una volpe impagliata fissata su un’asse di legno. Le aveva legato un fazzoletto rosa al collo, la reggeva sul braccio sinistro e così addobbato si è messo a correre dietro Pogacar per alcune decine di metri, in salita. Siccome la stessa cima è stata percorsa due volte, per due volte la volpe impagliata, e il suo proprietario, hanno preso la scena. L’unica consolazione è che il prode cacciatore di volpi è corso dietro, e non accanto o davanti, a Pogacar, ma pensate se fosse inciampato, e inciampando avesse urtato la ruota della bicicletta, e se urtandola avesse fatto cadere il campione, lì, vicino alla cima, nel punto di maggior fatica. Bisogna sempre predicare la non violenza ma, confesso, se in quel momento qualcuno avesse preso per le orecchie quei miserandi esibizionisti, non avrei pianto.

mariangela.mianiti@gmail.com