Finisce il Giro, finisce col trionfo in rosa di Roglic premiato da Mattarella (alla francese), finisce la carriera di Cavendish (almeno in Italia) con la volata romana che gli consegna il diciassettesimo alloro parziale nella corsa rosa. Per dire, quando Cav, un ragazzino, vinceva la Milano – Sanremo, il Cav. non più ragazzino governava. Dopo il traguardo le pacche sulle spalle all’uomo dell’isola di Man sono tante quante quelle a Roglic. Tutti vogliono bene a Cav, lo si è visto in corsa quando Thomas, in nome dell’amicizia di una vita, per dimenticare le amarezze del Lussari gli ha tirato la volata.

Come al solito, poi, Gaviria parte troppo lungo, Cavendish lo salta agilmente e vince quasi per distacco. Prendendo ispirazione dal Tour, con la sua celebrazione della grandeur sui Campi Elisi, il gruppo è paracadutato direttamente dalle Alpi sui Fori Imperiali per questa passerella. Non si capisce bene se si darà seguito a questa trovata, fino ad inventarsi una tradizione di sana pianta, o se si seguiterà col gran finale itinerante, abbandonata la tradizione (questa non inventata) dell’ultima parata in Piazza Duomo.

I romani assistono numerosi, col caldo che ci fa (l’estate iniziava più nature anche meno di vent’anni fa); chissà perché, si chiederebbe Montale, non si può essere un grande ciclista romano, Che Giro è stato? Evaporato Evenepoel, a giocarselo, nonostante l’illusione Almeida, sono rimasti due attendisti, Roglic e Thomas, pertanto non si poteva che vivere d’attesa.

Il gallese avrebbe semmai potuto aspettarsi una maggiore attitudine dello sloveno ai ripidi tornanti del Monte Lussari (questi sì uno spettacolo, come solo, e a tratti, sul Bondone si è avuto), ma chiedere alla Ineos di uscire dal copione e inventarsi qualcosa strada facendo è un po’ come chiedere allo scorpione di non pungere la rana. Per il futuro se ne esce con una certezza e mezzo: quella intera è Milan per gli sprint, quella a metà Almeida che un giorno o l’altro vincerà, forse, il Giro. E con qualche scommessa da fare con una certa ragionevolezza, tipo il nostro Zana.

Ai piedi del podio, i vecchi Caruso e Pinot (quest’ultimo con la maglia di leader degli scalatori) si sono congedati con estrema dignità. La riuscita alla perfezione della cronoscalata – al netto delle sacrosante perplessità sull’impatto ambientale – ha messo un po’ in sordina le polemiche delle settimane precedenti.

Tuttavia qualcosa di nuovo bisognerà inventarsi per dare un futuro alla corsa. Uscire dal sistema del World Tour, lo si è spiegato tante volte, sarebbe il toccasana, ma pare un’utopia. Spostare l’inizio di una settimana, per essere un po’ più sicuri di scansare le ondate di maltempo estremo, è un tentativo da fare, ma l’UCI non ne vuol sentir parlare.

Ma alla fine della fiera il Giro tornerà di grande impatto quando torneranno i campioni italiani a disputarselo. Il Tour è sempre stato l’agone privilegiato dalle stelle internazionali, ma finché avevamo Girardengo, Binda, Bartali, Coppi, Nencini, Gimondi, Moser, Saronni, Bugno e Pantani a dannarsi l’anima su e giù per lo stivale chi ci faceva caso? Vedremo.