Svete Višarje. Questo il nome con cui gli sloveni conoscono iil Monte Santo dei Lussari. Poco al di là dal confine viene Roglic a svernare, poco al di là dal confine ha passato Roglic la nottata. E i demoni del luogo, magari non quelli con cui Tone Kralj affrescava le chiesette della zona dando loro l’aspetto di Mussolini, spingono Roglic fino in vetta e fino in rosa. Una manciata di secondi, ma tanto fa. Vinta la crono, vinto il Giro, sconfitto Thomas che a giochi fatti qualcosina potrà recriminare.

La tappa era nata tra le polemiche, tanto per cambiare. Polemiche delle reti ambientaliste, come documentato qui sul Manifesto da Marinella Salvi. E in effetti, con tutte le salite che il Giro ha saputo conquistare, in un secolo e passa, alla sua storia, non si capisce che bisogno ci sia stato di venire a cementificare questa stupenda mulattiera. Quando poi i corridori li si multa per una borraccia gettata in strada al di fuori delle “zone green”, impedendo a un ragazzino di portarsi così a casa un cimelio tra i più ambiti. E, a proposito della mulattiera, polemiche tecniche di Lefevère, il boss di Evenepoel. Il quale coglie nel giusto quando nota che la rapidità delle salite non fa rima con spettacolo (chi va piano, per spiegarla terra terra, va su a quindici all’ora, ma chi va forte più che a diciassette è difficile che vada). Ma poi continua aizzando i corridori per via delle difficoltà nei soccorsi in caso di guasto meccanico su una strada tanto stretta, e qui è facile rispondergli che il tracciato è già noto dal Natale scorso. Tanto più che il diavolo – questa volta, magari, proprio quello fatto ancor più brutto da Tone Kralj – ci aveva davvero messo lo zampino, quando un cedimento meccanico aveva costretto Roglic a mettere il piede a terra proprio dove la strada più si impennava.

Ma il soccorso è stato lesto, e l’arrampicata attraverso un imbuto di bandiere slovene si è potuta concludere in trionfo. Più indietro Thomas andava su con flemma, tanto da concedersi, al momento di lasciare la bici da crono per quella da strada in vista dell’ascesa conclusiva, anche un cambio di casco dispendioso in secondi quanto di dubbia utilità. Lo si vedeva però, il gallese, un po’ imbruttito da rapporti troppo duri, quasi un mulo bardato da una soma troppo gravosa. E più passavano i chilometri, più le rampe si incattivivano, e più il distacco lievitava. Non una disfatta, per il gallese, che sarà infatti secondo sul traguardo, ma l’estremo equilibrio prodotto da tre settimane di bonaccia ha colorato questo piccolo gap con le tinte della disfatta. Se avrà la voglia e la pazienza di guardarsi indietro un po’, Thomas potrà rivedere la faccia di Roglic in alcune tappe andate, e pensare a come in quella faccia ci fosse stampata la preghiera di non attaccarlo.