Gli highlights all’ottimo Lorenzo Musetti, con diversi punti da circoletto rosso, come avrebbe detto il buon Rino Tommasi. La partita a Novak Djokovic. Più forte e cattivo, come sempre. Anche non al 100%.

Nessuna sorpresa dunque. La finale del singolare maschile di Wimbledon sarà la riedizione di quella dello scorso anno: Djokovic contro Alcaraz. Con quest’ultimo, a mio modesto avviso, leggermente favorito.

Ma al di là del racconto delle semifinali, e in attesa che Jasmine Paolini scenda sul campo centrale per l’ultimo fatidico miglio, vorrei parlare qui di un gran bel libro, il più interessante libro sul tennis letto negli ultimi anni. Non racconta storie di campioni né rievoca partite memorabili. Al contrario, mostra con limpida chiarezza il rovescio della medaglia del sistema tennis nella sua interezza.

Se dovessi sintetizzarlo in un titolo non avrei dubbi: “La solitudine del tennista”. Non quella descritta in maniera egregia da Agassi in Open, con la complicità del premio Pulitzer J. R. Moehringer. Certo, anche quella era una solitudine, pure molto sofferta, ma era pur sempre per ricchi. Per dirla con pragmatismo americano, lonely but not alone. Questa invece è la storia di chi ci ha provato ma non ce l’ha fatta, di chi non è riuscito alla fine della fiera a raggiungere la luce alla fine del tunnel.

Il libro si intitola The Racket e l’ha scritto Conor Niland, ex numero uno d’Irlanda, che ha frequentato il tour nei primi anni duemila cercando di scalare le classifiche mondiali. E che oggi è il capitano della nazionale irlandese di Davis.

Già lo scorso anno il numero uno del tennis indiano Sumit Nagal aveva denunciato di essere rimasto con novecento euro sul conto e di avere la sensazione di non condurre una vita confortevole. Ma il libro dell’ex giocatore irlandese, presentato nei giorni di Wimbledon ai microfoni della BBC, va ben oltre, raccontando quel limbo polveroso e poco conosciuto tra purgatorio e inferno dove centinaia di giocatori fuori dai primi centocinquanta del mondo si muovono tra tornei Challenger e ITF cercando disperatamente di non perdere la capacità di sognare.

I grandi del tennis spesso diventano noti con i loro nomi di battesimo, Rafa, Roger, Serena – scrive Niland – ma il resto di noi è conosciuto come un numero, la nostra classifica mondiale, che determina con chi giochi, dove giochi e quanti soldi guadagni”.

Quel numero, come un’etichetta appiccicata sul corpo, diviene il tuo status sociale. Più sarà basso più gli aeroporti saranno remoti, gli hotel squallidi e i guadagni modesti. Dimenticatevi poi le amicizie. Il massimo dell’interazione potrebbe essere un laconico “ci vediamo da qualche parte”. Forse.

Potrebbe perfino succedere che anche le palle con cui giocare non siano sempre di primissima scelta. “Una volta il 6 volte campione di doppio slam Ivan Dodig, croato, ha dormito sotto un ponte all’inizio della sua carriera perché non poteva permettersi un hotel”, si legge nel libro.

Nel 2021 una giocatrice francese, Sara Cakarevic, ha pubblicato su Instagram la sua paga di un torneo Future (ora si chiamano ITF) da 25mila dollari, mostrando che il suo premio in denaro era di ben 2,25 dollari (sic) al netto della quota di iscrizione, di una multa e delle tasse.

E stiamo parlando di tennisti posizionati tra i cento e i quattrocento del mondo, teoricamente una sorta di eccellenza. Alla fine della lettura si ha la sensazione, supportata da Niland, che l’ATP (Association of Tennis Professionals) esista più per organizzare tornei che non per prendersi cura dei giocatori.

Lorenzo Musetti durante la partita contro Novak Djokovic a Wimbledon EPA/ADAM VAUGHAN EDITORIAL
Lorenzo Musetti durante la partita contro Novak Djokovic a Wimbledon EPA /ADAM VAUGHAN

Nei suoi sette anni di tour, Conor Niland ha raggiunto la 129ma posizione della classifica. Nel 2011, dopo aver superato tre turni di qualificazione, riuscì ad approdare al primo turno del tabellone di Wimbledon. Il sogno di ogni tennista.

Incontrò il francese Adrian Mannarino, perdendo dopo una lunga battaglia al quinto set. Se avesse vinto al secondo turno gli sarebbe toccato in sorte Roger Federer. E quindi il Centre court del torneo più importante al mondo. Non è mai più riuscito a tornarci.

Complessivamente ha guadagnato meno di trecentomila dollari da distribuire per 7 anni, tasse escluse. “A quel livello non ci si ritira al tennis, semplicemente si smette di giocare. Non ho informato nessuno”.

In banca non gli era rimasto nulla. “Il tennis mi aveva lasciato completamente impreparato. Improvvisamente scoprii che il mondo non girava intorno a me. La mia vita quotidiana è davvero migliorata da quando ho lasciato il tennis”. Eppure pensa ancora alla sconfitta con Mannarino quasi ogni giorno. “Amo ancora il tennis. Quando vedo in tv qualcuno che fa una palla corta il mio corpo si contrae istintivamente per barcollare in avanti”.