«La situazione è terrificante». È scosso e preoccupato Christian Hogsbjerg, studioso del post-colonialismo in Gran Bretagna e militante antirazzista di Brighton. «Per la prima volta vediamo la combinazione tra Reform Uk di Nigel Farage che conquista 5 parlamentari a Westminster e un movimento apertamente fascista per le strade in tutto il paese. Tuttavia quello che è incoraggiante è che c’è una coscienza sempre maggiore da parte del movimento antifascista. Con la consapevolezza che siamo una società multiculturale capace di dire che i rifugiati sono benvenuti, non l’estrema destra».

Christian è uno dei tanti attivisti di Stand up to racism (Sutr), organizzazione ombrello che raccoglie le variegate forze della sinistra britannica dentro ma soprattutto fuori il Labour: socialisti, anarchici, esponenti del movimento sindacale. Oltre a organizzare presídi per contrastare i raduni dell’ultradestra, Sutr ha convocato per sabato 10 una manifestazione nazionale nella capitale. Ed ha lanciato un appello sottoscritto, tra gli altri dall’ex leader laburista Jeremy Corbyn, ora indipendente, e da Diane Abbott, prima donna black ad essere eletta ai Comuni nel lontano 1987 e oggi ancora parlamentare e punto di riferimento della sinistra del partito. «Siamo noi la maggioranza, loro sono in pochi», si legge nell’appello dell’organizzazione diffuso dal quotidiano progressista Daily Mirror. «La Gran Bretagna ha una storia orgogliosamente antifascista e antirazzista. Se ci uniamo e mobilitiamo, possiamo batterli ancora».

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L’unità delle forze sembra in effetti una condizione necessaria per superare il trauma delle violenze che vanno avanti dalla scorsa settimana e che hanno gettato nel panico molti richiedenti asilo, le cui residenze sono state attaccate dai gruppi di ultradestra. «Faccio parte di un piccolo gruppo socialista, ma non è importante la sigla», sottolinea Gareth Dale, professore di Economia politica all’università Brunel di Londra. «Ci sono molti anarchici e socialisti che stanno formando comitati per organizzare la protesta», spiega Garetth, che parla anche di come il movimento si stia coordinando con le moschee locali, dato che proprio i luoghi di culto rappresentano un target per l’estrema destra. Nella sua visione d’insieme, l’accademico non risparmia però una critica al primo ministro labursta Keir Starmer:. «Lo stesso Labour rappresenta parte del problema. Di fronte alle politiche dei Tories che per 14 anni hanno raffigurato i rifugiati come un male per la società, i laburisti hanno criticato le politiche securitarie, ma solo perché troppo costose o inefficaci».

Un ruolo chiave nell’organizzazione del movimento si deve alle organizzazioni sindacali. A partire dalla storica battaglia di Cable Street, «quando nel 1936 i lavoratori dell’East End londinese bloccarono la marcia delle camicie nere di Oswald Mosley», ricorda parlando con il manifesto Willie Howard, dirigente di Unite, il più grande sindacato del settore privato. «Oggi i sindacati sono molto più deboli che negli anni ’70 e la coscienza collettiva della classe lavoratrice ha subito un declino di pari passi con il sistema industriale», ammette a sostegno della mobilitazione di Sutr.
Da Mick Lynch, carismatico leader dei lavoratori del settore trasporti, è arrivato l’invito a «fare tutto quello che è in nostro potere per opporsi a odio e divisione nelle nostre comunità e luoghi di lavoro».

In ogni caso, la manovalanza delle rivolte partite da Southport e spinte dal vento delle fake news, subisce a sua volta l’effetto della congiuntura economica negativa. «L’esplosione di rabbia è partita dalle città ex industriali del nord dell’Inghilterra. Quei ragazzi sono forse figli dei minatori che hanno perso il lavoro e come accade spesso sono persone che non si tirano indietro quando c’è da protestare», ragiona Ashok Kumar, professore di Economia politica all’università Birkbeck di Londra. Sul perché tutto questo accada proprio ora, Kumar aggiunge: «È la tempesta perfetta, tra le politiche di austerity che portano ad un tasso di crescita tra i più bassi dei paesi industrializzati, all’inflazione molto alta (l’anno scorso al 9%)». Elementi da cui non si può prescindere, se si vuole comprendere a fondo il motivo delle violenze.

«L’agenda progressista deve incorporare due proposte», dice ancora Gareth Dale, lanciando lo sguardo verso il futuro. Da un lato c’è sicuramente la necessità di dire no al razzismo. Ma dall’altro, non può mancare la prospettiva di una società equa. A partire dal ripristino dei servizi sociali: quel sistema sanitario e scolastico che oggi sono colpevolmente lasciati cadere in pezzi».