La città con il demone del gioco d’azzardo ora è la Mecca dello sport mondiale. Una metamorfosi fa rima con dollari, tanti dollari. Un esercito di dollari che ha riabilitato Las Vegas, per quasi 30 anni dimenticata, messa da parte. Il 23 novembre la F.1 sfreccia nel deserto del Nevada, il terzo Gp stagionale negli Stati Uniti, assieme ad Austin (Texas) e Miami. I bolidi sulla Strip, la via principale di Las Vegas, sorpassi, auto a oltre 300 chilometri orari tra hotel con casinò, locali notturni, ristoranti. Sarà la terza volta per Las Vegas in F.1, dopo le prove del 1981 e del 1982.

E il prossimo anno nella città delle luci arriverà il Super Bowl, la finale del campionato di football americano, l’evento annuale da circa 120 milioni di telespettatori, giro d’affari da quasi 20 miliardi di dollari, spot televisivi di 30 secondi venduti a sette-otto milioni di dollari, con un pubblico pronto a separarsi da migliaia di dollari per un posto in area vip allo stadio, per una luccicante Limousine che li porti dall’aeroporto agli spalti. Una pioggia di dollari, sempre dollari, soltanto dollari. E i dollari sono il motivo principale per cui Las Vegas è divenuta la meta dello sport, dopo essere finita all’indice per qualunque disciplina.

Insomma, Sin City (uno dei nickname di Las Vegas) vive la sua rivincita. Attesa per anni. Era la meta del gioco d’azzardo quando 30 anni fa il Congresso americano approvò il Professional and Amateur Sports Protection Act (PASPA), ovvero il divieto di scommettere su eventi sportivi in tutti gli stati americani. Un provvedimento assunto per proteggere l’etica del gioco da partite combinate, trucchi e trucchetti che avevano avvelenato lo sport americano negli anni precedenti.

Quindi nessuna puntata, nessuna scommessa. Tranne che a Las Vegas e in tutto il Nevada, dove si giocava, eccome, diventando così un mostro da cui tenersi alla larga. Il simbolo della corruzione, del gioco d’azzardo appunto. Il limbo per Las Vegas è stato interminabile. I primi passi verso il cambio di passo si sono avuti con una serie di tentativi di approvazione di leggi federali per la riapertura alle puntate su partite di basket, football, hockey, baseball. La clessidra si è messa in moto. Fino alla rivoluzione, coincisa con l’esigenza delle leghe americane – Nfl, Nba, Mlb su tutte – in cerca di nuove forme di sostentamento per valorizzare il prodotto.

Apertura alle scommesse legalizzate. Non era più un tabù. Il tam tam sul Congresso è stata solo una conseguenza. Occorreva identificare un percorso normativo che consentisse ai singoli Stati di rendere legali i casinò extra lusso, i centri betting con scommesse live sulle partite di Nba. Una cornice per tutelare l’integrità del gioco, soprattutto nell’era della rivoluzione digitale: un paio di clic attraverso il web o un dispositivo mobile o smartphone e la scommessa è fatta.

La svolta è arrivata quattro anni fa, mentre il Nevada contava gli incassi milionari per il gioco legalizzato. Secondo un’analisi della società H2 Gambling Capital, il volume d’affari del gioco illegale negli Stati Uniti in quel momento era di 196 miliardi di dollari l’anno, ovvero il 97% di tutte le giocate effettuate dai cittadini statunitensi. Il margine delle vincite era di 10,4 miliardi di dollari.

Una sentenza della Corte Suprema spazzò via l’adozione del PASPA. Si riapriva alle scommesse, la decisione sarebbe spettata ai singoli stati. Ha iniziato il Mississippi. Poi il New Jersey, il Delaware. Tra gli ultimi a cedere anche lo stato di New York, che però è diventato in un amen il principale mercato del gioco legalizzato negli Stati Uniti: solo a gennaio 2022 sono state incassate scommesse per 1,6 miliardi di dollari, superando il primato del New Jersey, 1,3 miliardi di dollari a ottobre 2021. Dopo qualche settimana dalla fine del PASPA è arrivato il primo, storico accordo tra MGM, operatore di casinò di Las Vegas, e la Nba, che ha concesso a MGM di utilizzare loghi e marchi del torneo di pallacanestro americano (e della lega femminile della Nba, la Wnba), in cambio di 25 milioni di dollari in tre anni. Sia la Nfl che la Nba stringono in continuazione accordi di collaborazione con i casinò di Las Vegas e Atlantic City. Il New York Times in un’analisi del settembre 2020 ha evidenziato come il boom di eventi di grido a Las Vegas ha indotto i casinò a rivedere le aree per il betting sportivo. Secondo l’American Gaming Association’s Commercial Revenue Tracker, nei primi dieci mesi del 2021 l’incasso dallo sport betting negli Stati Uniti è stato di 3,1 miliardi di dollari, +230% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Ora, la corsa verso Las Vegas avvolge tutto. Prima l’hockey, poi il football Nfl hanno portato una squadra nel Nevada. La National Hockey League ha fiutato l’affare per prima, cinque anni fa, i Las Vegas Golden Knights finiti per 500 milioni di dollari (la valutazione ora si è almeno duplicata) al magnate americano Bill Foley. Poi, la Nfl con i Las Vegas Raiders, che giocano in uno stadio che vale quasi due miliardi di dollari, uno degli impianti più moderni e lussuosi dello sport contemporaneo con vista sulla Strip, che ha ispirato film e canzoni. E mentre la F.1 annunciava la tappa a Las Vegas, sorprendendo un po’ tutti per la velocità del suo investimento – l’arrivo del Circus era previsto per il prossimo anno – ora non si attende altro che lo sbarco della Nba nella città simbolo del Nevada. La Nba a Las Vegas organizza ogni anno la Summer League, torneo estivo che impegna buona parte delle squadre ma senza le stelle. A Las Vegas c’è già stato anche l’All Star Game Nba, la parata delle star della Lega. Insomma, i tempi sembrano essere maturi, salterà fuori anche l’investitore giusto (c’è la fila), nel frattempo Las Vegas potrebbe consolarsi anche con il soccer: è in lizza per l’assegnazione dell’ultima casella nel progetto di espansione a 30 squadre della Major Soccer League. E presto, molto presto, a Las Vegas arriverà anche la Major League Baseball, gli Oakland Athletics sono i candidati, dopo aver assegnato a una società di marketing uno studio di fattibilità sulla sostenibilità dell’affare.