Oggi la Ue approva il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia, sulla base della proposta fatta ieri dalla Commissione. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen ieri è stata prudente per evitare che le divisioni tra i 27 esplodano alla luce del sole, propone un primo passo, il più facile: un embargo sul carbone (46% delle importazioni Ue), ma per il momento non include il petrolio, per non parlare del gas.

MA ALCUNI PAESI SONO CONVINTI che la Ue è ormai pronta a fare di più. Non solo la Polonia e i Baltici, che da tempo chiedono sanzioni più decise, ma, dopo i massacri di Bucha, anche per la Francia «petrolio e carbone sono in discussione – ha detto ieri mattina il sottosegretario agli Affari europei, Clément Beaune, prima della pubblicazione della lista da Bruxelles – credo che potremo avere presto sanzioni nei due settori».

Il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, conferma: «le nuove sanzioni dovranno riguardare petrolio e carbone, lavoriamo su questo con la Germania». Mettere al bando il petrolio russo avrebbe un effetto molto grande: la Ue importa il 25% del grezzo dalla Russia, per più di 70 miliardi (nel 2021), una cifra molto superiore a quella del gas (16,3 miliardi), con una dipendenza del 40% (55% per la Germania).

Ieri, all’Eco-fin a Lussemburgo alcuni ministri hanno evocato un «consenso su sanzioni più forti». Anche Ursula von der Leyen ha evocato la possibilità di «tagliare più a fondo» l’economia russa: «lavoriamo a sanzioni supplementari, ivi compreso l’import di petrolio», ha precisato la presidente della Commissione, «dobbiamo aumentare la pressione». Dall’Ucraina, ancora ieri la domanda di colpire più a fondo l’economia russa è stata ripetuta, il sindaco di Kyiv, Vitali Klitschko, ha affermato che i pagamenti alla Russia sono «macchiati di sangue, di sangue del popolo ucraino».

LA PROPOSTA della Commissione riguarda un taglio all’import di carbone per un valore di 4 miliardi di euro, per il momento, con un’applicazione graduale. Il pacchetto riguarda anche la chiusura dei porti della Ue ai cargo russi (ma sono escluse le navi che trasportano energia, alimentari, prodotti umanitari). Colpito anche il trasporto su camion per i Tir russi e bielorussi.

Nel pacchetto della Commissione c’è la proibizione delle transazioni nello spazio finanziario Ue per altre 4 banche russe, tra cui VTB, la seconda del paese. C’è poi il taglio di 10 miliardi di euro di export di componenti essenziali per l’industria russa (come i semi-conduttori). Vengono colpite altre importazioni, come cemento e legno. Si allunga infine la lista degli oligarchi messi sotto sanzione (oggi sono circa 800) e le aziende russe sono escluse dalle gare di appalti nella Ue.

URSULA VON DER LEYEN e il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell, andranno «a giorni» a Kiev, il viaggio avverrà prima di sabato, quando si terrà a Varsavia la Conferenza dei donatori per l’Ucraina. La visita di von der Leyen e Borrell fa seguito a quella della presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, venerdì scorso. Questa settimana sarà a Kiev anche il cancelliere austriaco, Karl Nehammer (il mese scorso c’era stata una visita controversa dei primi ministri di Polonia, Repubblica ceca e Slovenia, che era stata presentata come una delegazione inviata dalla Ue, ma sconfessata da Bruxelles).

IL VIAGGIO A KIEV si è invitato anche nella campagna elettorale francese, a pochi giorni dal primo turno di domenica: «andare a Kiev per fare una visita senza risultati né utilità, non lo farò, se posso fare qualcosa e avere un effetto utile, lo farò», ha detto Macron. Il presidente-candidato ha dovuto giustificarsi per i numerosi contatti con Putin, dopo che il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, l’ha accusato di «non aver ottenuto niente con i negoziati», «non si negozia con Hitler».

Macron ha affermato di non aver mai avuto un «dialogo compiacente» con Putin: «fino a quando il presidente ucraino Zelensky me lo chiederà, dialogo con la Russia, fino a quando la Francia potrà avere un ruolo per far avanzare i negoziati, per ottenere cose sul piano umanitario, per preparare la pace».

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Tutti gli occhi sono rivolti alla Germania, dopo che altri paesi molto dipendenti dal gas russo – Polonia e i Baltici – hanno chiuso il rubinetto. Nel governo tedesco emergono tensioni. Il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, frena, mentre il responsabile dell’Economia, il verde Robert Habeck, guida una svolta, che dopo la rinuncia dolorosa alla pipeline North Stream 2, ha avuto un altro gesto simbolico con la presa temporanea del controllo della filiale Gazprom Germania, fino al 30 settembre, «per l’importanza dell’approvvigionamento» dell’energia e per evitare «in particolare di esporre le infrastrutture dell’energia a decisioni arbitrarie del Cremlino», ha precisato Habeck, una rottura nella politica tradizionale della mano tesa a Mosca.