Nello stabilimento Stellantis di Melfi ci sono 4.704 esuberi temporanei. Lo scrive Fca Italy nella lettera indirizzata il 27 giugno a ministero del Lavoro, Regione Basilicata e sindacati. Con la richiesta di convocare un incontro in sede governativa per prorogare il contratto di solidarietà siglato (a eccezione della Fiom Cgil) il 22 marzo 2022. «Gli esuberi sono strutturali, non temporanei», paventa Antonio Gravinese, rsu Fiom Stellantis di Melfi. In effetti, osservando quanto accaduto nell’ultimo anno, gli elementi per sostenerlo ci sarebbero tutti.

Il 25 giugno 2021 Stellantis firma un accordo con i sindacati in cui, pur con la prospettiva di sfornare quattro nuovi modelli elettrici multibrand dal 2024 e pur mantenendo inalterata la capacità produttiva di 400 mila vetture annue, si concordano lo smantellamento di una delle due linee e 300 esodi incentivati. È il primo atto di un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle tute blu e di un ridimensionamento del sito lucano – al netto del complicatissimo quadro internazionale che attraversa l’automotive.

«Le cifre su cui ci si era accordati la scorsa estate si riferiscono alla capacità produttiva potenziale – precisa l’ex dipendente Gessica Maulà – quindi non vincolano a produrre davvero 400 mila auto ogni anno». E infatti se lavorando su due linee si raggiungevano 600 macchine a turno (350 su una, 250 sull’altra), quella rimasta è attualmente impostata su 420 unità. Cifra che da un lato evidenzia il calo di capacità produttiva complessiva, dall’altro sottende l’aumento di produttività che l’azienda è riuscita a strappare da una singola linea. In che modo? Intensificando i ritmi di lavoro. «Si aumenta la cadenza della linea, si saturano le postazioni e le risorse a capacità limitata (Rcl) vengono estromesse dal ciclo produttivo mediante la mancata rotazione della cig», spiega Gravinese, anche lui Rcl.

Sul fronte occupazionale «era matematico che con una sola linea si sarebbero creati esuberi», nota Maulà, anche se il testo dell’accordo definisce «temporanea» la riduzione del fabbisogno di 3.215 persone sulle 7.144 allora in forza. A un anno di distanza gli operai rimasti sono poco più di seimila, che comunque mantengono Melfi come lo stabilimento di auto più grande in Italia. Effetto degli esodi incentivati, schizzati da 300 a 860. Tutti lavoratori prossimi al pensionamento? Niente affatto. «Il 70% di loro aveva circa 30 anni», stima il delegato Fiom. L’azienda non ha fatto nulla per trattenerli, né ha assunto altri giovani in sostituzione dei fuoriusciti più adulti. Difficile credere che lo scopo dell’incentivo all’esodo sia il ricambio generazionale dello stabilimento, pur richiesto dall’attuale età media (50 anni). Se in un anno è stato spinto ad andare via poco meno di un terzo di quegli esuberi definiti temporanei, cosa accadrà fino al 2024, data a decorrere da cui dovrebbe partire la produzione dei nuovi modelli? Il timore è che si faccia svuotare lo stabilimento per poi legittimarne la chiusura, sfuggendo la responsabilità della bomba sociale che ne seguirebbe.

«Ecco perché non abbiamo firmato il contratto di solidarietà dello scorso marzo», ricorda Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive della Fiom. Occasione in cui, oltre al rifiuto di desaturare le linee, l’azienda si era spinta a chiedere altre 500 uscite volontarie. «Per noi l’obiettivo resta quello dell’accordo di giugno 2021, cioè proteggere l’occupazione, sfruttando tutti gli strumenti disponibili per far fronte a una transizione lunga», continua Marinelli. Valutazione che porterà la Fiom a un cambio di marcia, ossia a rendersi disponibile a una proroga del suddetto contratto di solidarietà, in scadenza il prossimo 7 agosto. Senza «una deroga del ministero del Lavoro saremmo nei guai perché non riusciremmo ad attutire la congiuntura del mercato, né la mancanza di semiconduttori», ammette il dirigente sindacale.

Quale dunque il futuro di Melfi? Sebbene sia uno dei due siti Stellantis italiani con maggiori garanzie (oltre a Termoli, da riconvertire in gigafactory), la lettura dei lavoratori è quella di un sostanziale disimpegno. Visibile, agli occhi di chi è rimasto, sin nei dettagli più semplici: la pulizia e la manutenzione degli ambienti sono state tanto trascurate da imporre una derattizzazione straordinaria il mese scorso. E dire che lo stesso Tavares alla sua prima visita a Melfi aveva fatto notare ai dirigenti aziendali la somiglianza tra lo stabilimento «troppo pulito» e un ospedale. Adesso, gli fanno eco gli operai, «sembra di stare in una fabbrica dell’Ottocento».