La discussione sulle concessioni balneari si è polarizzata negli ultimi giorni di campagna elettorale. Ma tra occupazioni delle spiagge e sfide alla proposta più fantasiosa, i tribunali continuano a sollecitare l’avvio dei bandi. Il Consiglio di Stato lo ha detto in svariate sentenze: le concessioni balneari sono scadute il 31 dicembre 2023 e qualsiasi rinnovo automatico è illegittimo, perché in contrasto con la direttiva Ue Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi. Con la legge sulla Concorrenza 2021, il governo Draghi ha dato la possibilità di una proroga tecnica fino al 31 dicembre 2024 e col decreto Milleproroghe 2023, il governo Meloni ha spostato il termine al 31 dicembre 2025.Alla scadenza imposta da Palazzo Spada si appellano gli attivisti di Mare libero, che nei giorni scorsi hanno steso i loro teli al Twiga in Versilia, all’Elmi di Ostia e al Papeete di Milano Marittima. Secondo Mare libero, gli attuali gestori sono abusivi e chiunque ha il diritto stendersi sulle concessioni. Ma se gli stabilimenti sono ancora attivi, è perché i comuni si sono avvalsi della proroga tecnica concessa da Draghi, che ha ammesso il rinvio «in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023». Specificando che fino al 31 dicembre 2024 «l’occupazione dell’area demaniale da parte del concessionario uscente è comunque legittima».

LE «RAGIONI OGGETTIVE» dei comuni sono le stesse ovunque: mancano le regole nazionali per fare i bandi, poiché il governo Meloni non ha mai approvato il decreto attuativo previsto da Draghi. In alcune località l’Agcm ha fatto ricorso contro la proroga tecnica, ma sembra che il Consiglio di Stato la stia tollerando: nei contenziosi su cui si è già espresso – ad Amalfi, Napoli e Moneglia – ha emesso delle ordinanze cautelari per confermare la legittimità dell’occupazione degli attuali gestori per l’estate, a tutela del «pubblico interesse». Viene da chiedersi perché si giustifichi la privatizzazione delle spiagge per il «pubblico interesse» e la risposta ha motivi storici. Attraverso le concessioni, il nostro stato ha delegato ai privati la cura dei litorali: i balneari hanno dei canoni molto calmierati, che oggi tutti chiedono di alzare, ma sono obbligati a pagare il servizio di salvamento estivo e la pulizia delle spiagge tutto l’anno. In cambio traggono un profitto attraverso delle aziende private sorte sul demanio pubblico. La legge lo ha permesso e così ha sempre funzionato, ma la direttiva Bolkestein è andata a toccare questo sistema. Negli ultimi 15 anni i governi di tutti i colori hanno prorogato le concessioni non solo per tutelare i balneari, ma anche perché non sono stati in grado di affrontare migliaia di bandi e decidere come prendersi cura dei litorali, nei casi scontati di ricorsi che bloccherebbero le attività per mesi.

NEL RESTO D’EUROPA la gestione delle spiagge è diversa. In Spagna i canoni sono molto più alti rispetto all’Italia, ma la pulizia e i bagnini di salvataggio sono pagati dai comuni; mentre in Francia le concessioni sono sempre state assegnate tramite gare pubbliche, per pochi anni e col divieto di costruire strutture permanenti come in Italia. D’altronde, nel nostro paese la competenza sulle spiagge è del ministero delle Infrastrutture, mentre altrove è dei ministeri dell’Ambiente: una differenza che fa riflettere sul ruolo che attribuiamo a questo bene pubblico.

La redazione consiglia:
Balneari e redditometro, arriva lo stop di Mattarella

UN’ALTRA INCOGNITA che si solleva con la Bolkestein riguarda i futuri gestori delle concessioni. L’applicazione della direttiva non comporterà l’aumento delle spiagge libere, bensì la sostituzione degli attuali balneari con altri. Chi saranno, dipenderà da come saranno fatti i bandi: se si privilegerà l’esperienza professionale nel settore, potrebbero essere sempre gli stessi, mentre se si partirà senza meccanismi preferenziali, è più probabile l’ingresso di nuovi imprenditori. L’Europa vuole la seconda strada, ma riassegnare le concessioni con questo approccio iperliberista potrebbe di fatto non comportare una maggiore concorrenza. Gestire uno stabilimento richiede investimenti importanti, le gare favoriranno i soggetti con maggiore capacità economica. Soprattutto se i comuni potranno fare i bandi come vogliono. È già accaduto a Jesolo, dove tre concessioni sono state accorpate in un grande lotto vinto da una società partecipata dal titolare di Geox, che ha presentato un piano di investimenti da 8 milioni con conseguenti rincari sui prezzi degli ombrelloni. Se questo modello fosse applicato su scala nazionale, la privatizzazione delle spiagge sarebbe ben peggiore dello scenario attuale. Di questo si deve tenere conto, quando si invocano le gare e la concorrenza sfrenata: ovvero che le ragioni del libero mercato spesso fanno soccombere i diritti.