Sfilerà l’epifania della dottrina putinista. Solitaria e a destra
La parata militare Nessun leader straniero invitato. Più che una vittoria si teme possa dichiarare lo stato di guerra
La parata militare Nessun leader straniero invitato. Più che una vittoria si teme possa dichiarare lo stato di guerra
Eccola l’Eurasia al culmine dell’era putinista, ecco la manodopera di guerra che la Russia impiega in Ucraina. Squadre di ceceni messe insieme nei circoli di lotta a Grozny, a Vedeno o Gudermes. Diciottenni di Ufa e di Kazan passati in pochi mesi dai banchi di scuola alle caserme della guardia nazionale.
VOLONTARI DI CHITA e di Ulan Ude trasferiti quotidianamente a Rostov, a Kursk, a Belgorod, e da lì alla linea del fronte. Questi uomini setacciano i villaggi dalle piane del Donbass alle coste del Mar Nero. Contratti di sei mesi. Sessanta dollari di paga per ogni giorno di combattimento. Niente telefoni, niente contatti, e se possibile niente testimoni.
Poco probabile vederli domani lungo la strada Tverskaya, nel centro di Mosca, nella parata con cui il paese dovrebbe celebrare la vittoria sulla Germania nazista, e che il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha reso l’epifania della sua pallida dottrina.
Sul palco nella Piazza Rossa Putin sarà probabilmente solo. Non hanno invitato alcun leader straniero. E neanche il presidente bielorusso, Aleksander Lukashenko, il solo sulla mappa dell’Europa che somigli vagamente a un partner. Proprio Lukashenko sembra avere ispirato buona parte delle tesi che oggi il Cremlino sostiene.
L’ANNO SCORSO aveva chiesto il sostegno di Putin contro la comune minaccia dell’occidente «collettivo». Allora Lukashenko affrontava pesanti proteste in ogni città del paese, e per mantenere il potere stava facendo ricorso all’intero patrimonio del regime. Purghe, arresti, pestaggi, omicidi mirati. Putin non ha mai avuto a che fare con una opposizione così radicale e così organizzata.
EPPURE L’OCCIDENTE collettivo ha preso definitivamente un posto centrale nel suo discorso politico. «Abbiamo saputo che c’era un piano per rovesciare il governo e assassinare Lukashenko», ha detto un anno fa di fronte alla Duma: «Il cosiddetto occidente collettivo non è in grado di condannare neanche azioni così spregiudicate. È sbagliato pensare che non si siano accorti di nulla. Semplicemente a loro non interessa».
Da due mesi Putin non si vede in pubblico, dal discorso allo stadio Luzhniki di Mosca con cui ha ricordato di fronte a novantamila persone il ritorno di Crimea e Sebastopoli alla madrepatria, e in fin dei conti ha mostrato al mondo nel bel mezzo della guerra che la nazione segue il presidente senza farsi troppe domande.
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90.000 sugli spalti di Luzhniki per celebrare il nazionalismoQuel giorno Putin ha citato il Vangelo di Giovanni e l’ammiraglio zarista Fedor Ushakov, fatto santo e poi patrono dei bombardieri nucleari, prima che la tv di stato tagliasse il suo intervento per un errore tecnico.
IL VARIETÀ DEL PATRIOTTISMO russo ha offerto parecchie indicazioni sulle nuove tesi putiniste. Al primo canale hanno parlato quasi tutti gli esponenti della destra, di quel mondo che per anni ha affrontato Putin dai banchi dell’opposizione, oppure dalle celle del carcere di Lefortovo, nel distretto sudest della capitale. Come dire: nella cerchia del presidente si sono fatte largo figure più radicali rispetto al passato.
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Putin e Lavrov, c’era una volta la RussiaUn’altra prova sta nelle parole con cui Putin ha salutato il populista Vladimir Zhirinovskij, scomparso un mese fa per le conseguenze del coronavirus dopo una lunga carriera segnata da scandali e vibranti polemiche.
«Era un politico esperto, un uomo energico e aperto, un eccezionale oratore e polemista, ed è stato il fondatore e il leader inflessibile di uno storico partito», ha detto Putin, secondo il quale Zhirinovskij «ha sempre difeso la posizione patriottica e gli interessi della Russia di fronte a chiunque e nelle discussioni più importanti».
ZHIRINOVSKIJ CHIEDEVA da decenni di riportare Kiev sotto il più rigido controllo del Cremlino. Anche a costo di una operazione militare. Tant’è che davanti ai colleghi alla Duma aveva indicato una data per l’inizio dell’invasione: il 22 febbraio, alle quattro del mattino. La guerra è cominciata quarantotto ore più tardi.
Il riconoscimento di Putin, al di là della retorica, mostra quanto la linea del Cremlino si sia piegata verso quella che pochi mesi fa era la destra estrema, una fazione a cui l’élite ha attribuito a lungo tratti grotteschi e anche mostruosi. Mai le loro posizioni erano state così vicine, almeno nel dibattito pubblico.
Secondo alcuni Putin avrebbe voluto usare il 9 maggio per chiudere quella che ancora chiama «operazione speciale». I fallimenti del suo esercito probabilmente gli impediranno di farlo. Altri temono che dichiari lo stato di guerra, il che permetterebbe al governo di chiudere i confini, di richiamare i riservisti, di usare ogni mezzo rimasto per ottenere la resa dell’Ucraina. Ma anche questa possibilità per adesso è stata smentita.
Di nuovo di fronte alla nazione, dopo vent’anni passati al potere, il capo del Cremlino cercherà di stringere le ragioni del suo potere al mito della vittoria contro il nazismo.
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Il discorso di Putin: “L’attacco preventivo all’Ucraina decisione giusta”Ma quello è un ricordo che appare sempre più lontano. E che ora Putin con la guerra in Ucraina e con i legami sempre più stretti con la destra rischia di cancellare rapidamente.
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