90.000 sugli spalti di Luzhniki per celebrare il nazionalismo
All'ultimo stadio Il discorso di Putin, più «moderato» dei giorni scorsi. E nella diretta della tv russa hanno sfilato numerosi esponenti della destra, prima invisa al presidente
All'ultimo stadio Il discorso di Putin, più «moderato» dei giorni scorsi. E nella diretta della tv russa hanno sfilato numerosi esponenti della destra, prima invisa al presidente
Da Vladimir Putin era legittimo aspettarsi un discorso intenso come quello pronunciato mercoledì dalla solitaria residenza di Novo Ogarevo. Allora aveva detto che il popolo russo sarebbe sempre stato in grado di distinguere i veri patrioti dalla feccia, e di sputare fuori questi ultimi come si fa con i moscerini che entrano accidentalmente in bocca. Ma di fronte ai novantamila cittadini radunati allo stadio Luzhniki di Mosca per celebrare quello che il lessico di stato considera il ritorno di Crimea e Sebastopoli alla madrepatria, e in fin dei conti per mostrare al mondo che la nazione segue il presidente senza farsi troppe domande, Putin è tornato su toni decisamente più modesti, fatta eccezione per un passaggio tratto dal Vangelo di Giovanni: non c’è un gesto di amore più grande che donare la vita per gli amici. Parlava del sacrificio dei militari russi.
L’ALTRO RIFERIMENTO misticheggiante, all’ammiraglio zarista Fedor Ushakov, fatto santo e poi patrono dei bombardieri nucleari, lo ha tagliato il primo canale della tv russa per uno strano inconveniente tecnico. Proprio così. Il discorso di Putin in diretta tv è stato interrotto all’improvviso. Al suo posto il primo canale ha trasmesso un’altra parte dell’evento, e più precisamente il concerto del musicista Oleg Gazmanov. Gazmanov è a tutti gli effetti l’eroe del genere che potremmo definire pop patriottico. Ha settant’anni, un passato da ginnasta e l’aspetto da eterno ragazzo. Quando arrivi in treno alla stazione Leningradskij di Mosca gli altoparlanti trasmettono sempre un suo brano dedicato alla capitale. Dimostrano l’amicizia con Putin i riconoscimenti ricevuti dal Cremlino, come l’Ordine al merito della Madrepatria che il capo in persona gli ha consegnato nel 2012. Ma ieri, questo è certo, avrebbe evitato di rubargli la scena.
Sia come sia, nel suo intervento Putin ha ribadito che la Russia «porterà a termine tutti i piani» in Ucraina e che l’intervento in Donbass è stato necessario «per evitare un genocidio». È la retorica dei documenti ufficiali, trasferita al grande pubblico. Niente di paragonabile alle parole pronunciate due giorni prima, che avevano l’aria di un nuovo patto fra il presidente e la società russa nel bel mezzo dell’intervento in Ucraina, alla vigilia di possibili accordi per il cessate il fuoco.
DAL GRANDE VARIETÀ patriottico organizzato al Luzhniki sono arrivate in ogni caso parecchie indicazioni interessanti. Alla diretta della tv russa hanno sfilato numerosi esponenti della destra, e quindi di quel mondo che negli ultimi anni ha affrontato il putinismo quando andava bene dai banchi dell’opposizione, e quando andava male dalle celle del carcere di Lefortovo, nel distretto sudest di Mosca. Come dire: i tempi cambiano e nella cerchia del Cremlino si fanno largo figure più radicali rispetto al passato. È un passaggio di cui tenere conto per comprendere la Russia che verrà alla fine della guerra in Ucraina.
UN DEPUTATO populista dell’Ldpr con il cappotto di montone ha mostrato in diretta le fotografie del suo leader, Vladimir Zhirinovsky. Zhirinovskij spingeva per usare le maniere forti con i vicini quando ancora Putin si teneva alla larga dall’idea. Oggi avrebbe molte ragioni per dire che la sua parte politica ha vinto. «Sarà candidato alle prossime presidenziali», ha detto il deputato. Le presidenziali sono previste fra due anni esatti, nel 2024. A dire il vero Zhirinovskij non si vede in giro da un pezzo. Ha contratto una forma grave di coronavirus. Lo hanno ricoverato all’inizio di febbraio in condizioni gravi e nessuno sa dire con certezza quando tornerà alla vita pubblica.
AI MICROFONI del primo canale è passato anche lo scrittore Zakhar Prilepin, veterano della guerra in Cecenia, redattore di Novaya Gazeta e infine militante del partito nazional bolscevico. Per questo è considerato da molti l’erede di Edvard Limonov, un altro che aveva previsto con trent’anni di anticipo quel che sarebbe accaduto nel Donbass e che è passato per i corridoi di Lefortovo. La giornalista della tv pubblica ha chiesto a Prilepin: quali autori della nostra grande tradizione letteraria sarebbero qui oggi se potessero? Lui ha riposto senza esitare un secondo: «Pushkin, Gogol e Dostoevskij sarebbero sicuramente con noi». Non esiste la possibilità di chiedere loro un commento. Questa è una fortuna per Prilepin. E forse, in fin dei conti, anche per Pushkin, Gogol e Dostoevskij.
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