«Spero che capiscano presto che qui senza quelle armi si muore» dice Ivàn, il più cupo e taciturno del gruppo di soldati che incrociamo davanti al parco Mariinskij di Kiev. I suoi commilitoni, tutti poco più che ventenni, non sono d’accordo. Soprattutto Dmitry: «Continueremo comunque, qualsiasi cosa succede e ti dico una cosa: negli Stati Uniti e in Europa possono anche abbandonarci, non ce ne frega un…», dice in un crescendo di rabbia. Sono ragazzi di Kiev, in permesso di qualche giorno nelle retrovie, ed erano tutti iscritti all’università ma l’hanno sospesa volontariamente per partire per il fronte. Medicina, ingegneria...